A cinque anni dell'uscita del Regno Unito dall'orbita dell'UE il coro dei contrari resta ancora forte. Ecco cosa è andato storto.
Correva l'anno 2016 quando la Gran Bretagna decise di lasciare l'Unione europea. Uno strappo doloroso da parte di uno dei suoi Paesi più influenti, deciso con un referendum che costò le dimissioni al primo ministro David Cameron.
La Gran Bretagna si è poi ufficialmente ritirata dall'Unione europea il 31 gennaio del 2020, anche se vi è stato un periodo di transizione terminato nel gennaio del 2021.
Le aspettative nei confronti di quella che è passata alla storia come Brexit, dalla crasi di "Brit" Gran Bretagna, ed '"exit" uscita, erano molto alte, e le persone che si erano dichiarate favorevoli al ritiro del proprio Paese dall'Unione europea sostenevano che le decisioni economiche e politiche dovessero essere pieno appannaggio della Gran Bretagna e che ciò avrebbe comportato anche una migliore politica di contrasto alla migrazione e una maggiore tutela dei confini nazionali.
La liberazione dalla tanto criticata burocrazia imposta dall'Unione europea avrebbe, nella convinzione degli euroscettici, dato nuovo vigore alla sua economia, potendosi impegnare in libere trattative commerciali. Secondo il Partito per l'Indipendenza del Regno Unito, Ukip, il cui leader è stato dal 2006 al 2026 proprio quel Nigel Farage promotore del referendum, con la Brexit si sarebbero potute arricchire anche le casse dello Stato, devolvendo ad esse la somma di denaro dovuta a scadenze regolari alla Ue.
Passa un lustro, forse non in meglio - Cinque anni dopo, sono in tanti a tirare le somme di questa storica scelta e, a differenza delle iniziali aspettative, non si è ancora assistito al verificarsi dei miglioramenti vaticinati dagli euroscettici. Del tema se ne è occupato di recente anche il quotidiano britannico online The Independent secondo il quale «il governo stima che l'economia subirà una riduzione del 15% per le attività commerciali a lungo termine, mentre gli esperti suggeriscono che il Regno Unito subisca 100 miliardi di perdita di produzione ogni anno».
Si tratta di cifre molto importanti e quello dell'economia non è il solo settore ad aver subito delle perdite: anche la migrazione, infatti, ha raggiunto dei livelli record e molti settori produttivi britannici sono in crisi a causa di mancanza di manodopera.
Come riferito dal giornale, secondo un sondaggio lanciato da YouGov dello scorso ottobre, il 59% dei britannici ha affermato che la Brexit «ha avuto effetti abbastanza o molto negativi, mentre solo il 12% degli intervistati si è detto soddisfatto».
Persino un economista sostenitore della Brexit come Julian Jessop ha dichiarato che tale scelta «ha avuto alcuni effetti negativi sull'economia, attraverso le riduzioni del commercio, le carenze negli investimenti aziendali e le interruzioni dei mercati del lavoro», anche se ha aggiunto che i problemi relativi alle importazioni ed esportazioni «sono state molto inferiori di quanto temuto».
Il fronte dei disillusi cresce - È una realtà, quindi, che le aspettative più rosee e ottimistiche legale a tale scelta siano state sostanzialmente disattese, e vi è chi, come l'ex vice primo ministro Lord Heseltine che, sempre sulle pagine del Independent, ha definito la Brexit “un disastro storico (…) il popolo britannico è stato ingannato e l'inganno è misurato in standard di vita ridotti”.
Secondo il politico, infatti, l'uscita dall'Unione europea «ha distrutto la leadership della Gran Bretagna in Europa proprio nel momento in cui ce n'era bisogno, ha negato le opportunità per le nuove generazioni di condividere in benefici dell'Europa e ha negato al comparto industriale britannico di accedere alle ricerche e alle politiche europee».
Come scritto sul Guardian, i ricercatori del Centre for Economic Performance hanno studiato gli effetti sull'economia britannica dei Tca, ossia gli accordi commerciali e di cooperazione stipulati con Bruxelles, scoprendo che le grandi imprese hanno retto maggiormente il colpo, specialmente nel settore delle importazioni, essendo state capaci di procurarsi i componenti e le materie prime da Paesi extra Ue, mentre a soffrire maggiormente sono le piccole imprese, con meno di cento dipendenti, che hanno dovuto rinunciare del tutto a commerciare con il loro più importante partner commerciale.
Secondo tale studio, circa il 14% degli esportatori del Regno Unito hanno smesso di esportare i propri prodotti nell'Unione europea proprio a causa delle regole commerciali dovute dalla Brexit. Secondo David Hening, direttore del Uk Trade Policy Project «la Brexit ha influenzato negativamente le nostre esportazioni, più delle nostre importazioni dall'Ue. È stato più facile per gli importatori europei trovare fornitori alternativi, piuttosto che per gli importatori del Regno Unito sostituire i fornitori europei».
Chi paga pegno: industria alimentare, contadini e pescatori - Dagli studi svolti in merito, è emerso che i settori commerciali più colpiti sono stati l'industria alimentare, l'agricoltura e la pesca. Con riguardo al primo, secondo il Centre for Inclusive Trade Policy, Citp, le esportazioni alimentari verso l'Ue hanno subito una perdita di 2,8 miliardi di sterline all'anno, dalla fine del periodo di transizione, e ciò senza che ci sia «un segno recente di recupero dei livelli precedenti».
Secondo un sondaggio di Arla Foods Uk, nel settore lattiero-caseario un agricoltore su dodici ha dovuto tagliare la propria produzione lo scorso anno, e il 56% degli operatori di settore hanno dichiarato la propria difficoltà a reperire manodopera dopo la Brexit e la pandemia. Anche i consumatori pagano il prezzo di queste difficoltà e l'inflazione su alimenti e bevande, secondo uno studio della London School of Economic, «sarebbe stata inferiore dell'8% in assenza di Brexit».
Anche i pescatori britannici non se la passa meglio, e se è vero che la campagna pro Brexit faceva leva proprio sui benefici che questo settore avrebbe ricavato dall'uscita dall'Ue, allo stesso modo la maggior parte di essi si dicono insoddisfatti delle condizioni stabilite nei Tca. Come riferito dall'Independent, le esportazioni di pesce sono diminuite di un quarto rispetto al 2019, con una perdita monetaria di 283 milioni di sterline.
Quelli che vogliono ritornare - È importante tuttavia ricordare che l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea è avvenuta in un momento storico particolarmente delicato e difficile a livello mondiale, a causa dello scoppio della pandemia di Covid-19, e i relativi blocchi commerciali che hanno penalizzato l'economia mondiale in generale.
Per tale motivo, c'è chi sostiene, come il già citato economista Julian Jessop, «che l'economia del Regno Unito sia solo l'1% inferiore di quanto sarebbe stata altrimenti», proprio perché è impossibile «a livello aggregato separare l'impatto della Brexit da altri shock, in particolare la pandemia e la crisi energetica».
La pandemia, la guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica, e uno scenario geopolitico molto complesso sono tutti elementi che incidono sull'economia dei Paesi occidentali, ma è innegabile che la Brexit, a oggi, non abbia dato i benefici economici e sociali sperati. E se la Gran Bretagna deve convivere con gli effetti di questa scelta, vi è anche chi inizia a fare pronostici su di un suo ritorno in seno all'Unione, in tempi decisamente diversi.
Lo scorso ottobre, ad esempio, l'ex presidente della Commissione europea Romano Prodi si è detto pronto a scommettere, parlando all'Ucl Economics Centre for Finance di Londra, che «tra quindici anni il Regno Unito tornerà», mentre l'ex primo ministro del Lussemburgo Jean-Claude Juncker ha invece detto che «ci vorranno un secolo o due» perché ciò avvenga.
Nonostante, poi, il governo laburista abbia fatto sapere lo scorso ottobre che «non ci sarà alcun ritorno all'adesione all'Unione europea» rinnovando il “no” a un'area doganale post-Brexit proprio questo giovedì, cresce anche il movimento 'Rejoin and Reform', fondato dall'attivista John McPhie, che auspica il ritorno “al luogo a cui apparteniamo”, dopo aver definito la Brexit «il più grande atto di autolesionismo della nostra storia, un atto di vandalismo economico, una catastrofe per la Gran Bretagna».