Sono migliaia e devono arrangiarsi con un equipaggiamento non pensato per loro, a partire dal fondamentale giubbotto antiproiettile.
Ci sono tantissime donne che combattono in Ucraina. Attualmente si stima che siano 60mila le soldatesse in forza nell'esercito ucraino, di cui 42 mila impegnate in azioni di guerra e 5 mila al fronte. Si tratta di persone che si sono messe volontariamente a disposizione del proprio Paese fin dal 2014, in occasione dell'annessione della Crimea da parte della Russia, e il cui numero è andato ad aumentare dopo lo scoppio della guerra nel febbraio del 2022.
Nell'aprile dello scorso anno si era parlato di un gruppo di soldatesse ucraine tenute prigioniere dai russi, abusate e torturate. La loro storia era stata portata alla luce dalla commissaria ai Diritti Umani del parlamento ucraino, Lyudmyla Denisova, e successivamente ripresa dalla Cnn.
Le soldatesse, facenti parte di un gruppo di 86 soldati ucraini successivamente rilasciati dai russi, avevano dichiarato di essere state portate al centro di detenzione di Bryansk, in Bielorussia, dove sarebbero state denudate alla presenza di uomini, e costrette a stare accovacciate. Con i capelli rasati a zero e fiaccate da lunghissime interrogatori, alcune di loro erano state costrette a girare dei video di propaganda russa. Si tratta di una delle poche vicende riguardanti i membri femminili dell'esercito ucraino trapelati dall'inizio della guerra.
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Un contributo che passa sotto silenzio
Le loro storie, infatti, sono per lo più sconosciute anche se il loro contributo sul campo è di certo rilevante, a maggior ragione se si pensa a quali difficoltà, anche di ordine pratico, una donna debba far fronte vivendo in condizioni tanto precarie. Una mentalità maschilista ampiamente diffusa in molti ambienti militari, un equipaggiamento non adatto alla fisicità femminile e la mancanza di articoli medici necessari alle soldatesse, come gli assorbenti igienici, contribuiscono a rendere l'esperienza al fronte delle soldatesse ancora più dura e difficile.
«Sono anni che chiediamo giubbotti adeguati per le soldatesse come li hanno americane e israeliane- afferma, così come riportato da La Repubblica, Adriana Matskiv, membro di Veretanka che assiste le veterane-raccogliamo fondi e li ordiniamo in America ma ci vogliono mesi. Deve occuparsene lo stato». Gli attuali giubbotti dati in dotazione pesano dagli otto ai dieci chilogrammi mentre lo zaino, che deve contenere anche un kit di pronto soccorso, pesa altri dieci o quindici chilogrammi. Sono dei pesi insostenibili per le soldatesse che, come detto da Olena Shargovska a La Repubblica, hanno spezzato le costole a tante di loro. «Salti nella trincea -ha dichiarato la soldatessa, nome di battaglia '“Jane”- un movimento brusco in azione e crac, il giubbotto antiproiettile le rompe».
Del problema se ne è occupato anche il quotidiano inglese The Guardian che aveva raccolto le testimonianze di numerose soldatesse che lamentavano di dover indossare delle divise di taglia troppo abbondante per la fisicità femminile e che si rivelavano essere un intralcio nelle operazioni militari. Come affermato da Alina, una soldatessa ucraina, al Daily Beast, noto sito web di informazioni fondato da Tina Brown, «capita spesso di inciampare in scarpe da uomo troppo grandi o in pantaloni enormi che ci rallentano(...) se mi tolgo l'equipaggiamento dell'esercito e vengo ferita o uccisa, non ci sarà alcun risarcimento per me o per la mia famiglia. Le nostre vite, la nostra sicurezza dipendono da ciò che indossiamo sul nostro corpo e sui nostri piedi, da quanto siamo in salute».
Se la guerra è roba da uomini
Solo ora si inizia a concepire una divisa femminile e come scritto dall'Agence France-Presse l'esercito ucraino sta testando una uniforme femminile, progettata dal gruppo di volontari Arm Women Now, e composta da giacche e pantaloni regolabili, e reggiseni sportivi. I fondi a disposizione, attualmente, coprirebbe appena il 10% delle 9 mila donne che ne avrebbero bisogno, fra cui molte incinte. Il progetto, come visto, è ancora in fase di sperimentazione e prima che questa divisa venga testata e distribuita, le donne ucraine al fronte continueranno a indossare lo stesso equipaggiamento destinato ai colleghi uomini, biancheria intima compresa.
Il giubbotto antiproiettile non è concepito per un torace dotato di seno e provoca le dolorose conseguenze di cui si è parlato. A quanto detto da Alina, si sommano le lamentele di Julia, incentrate sulla mancanza di un equipaggiamento che le aiuti a prendersi cura della propria igiene intima mentre sono sul campo di battaglia. «Provate ad andare in bagno a meno 4 gradi. Tutte noi abbiamo la cistite o l'infiammazione alle ovaie e il mal di schiena. Dopo un anno di guerra abbiamo un bouquet di problemi di salute di ogni tipo».
Non sono inoltre stati forniti assorbenti igienici e dispositivi di deviazione urinaria femminile, che permettono alle donne, in condizioni igieniche precarie, di evitare infezioni. Pochissimi medici da campo sono esperti di ginecologia e le donne hanno difficoltà a farsi curare in maniera adeguata. A un giudizio superficiale possono sembrare delle velleità trascurabili in un contesto di guerra, ma non va dimenticato che le soldatesse, che mettono a repentaglio la propria vita esattamente con i propri colleghi, hanno pur sempre delle esigenze fisiche che non possono essere derogate a piacimento perché ci si trova al fronte.
La totale carenza di igiene provoca l'insorgenza di problemi di salute che compromettono l'attività stessa delle donne soldato. La loro buona salute, invece, dovrebbe essere una priorità per l'esercito ucraino in considerazione del numero consistente di volontarie tra le proprie file. Fino alla revoca del decreto n 256, avvenuta nel 2017, alle donne era impedito ricoprire ruoli di responsabilità all'interno delle gerarchie militari.
«Combattiamo due nemici»
Attualmente, complice la guerra in corso e il bisogno perenne di nuove forze da mandare in campo, questa uguaglianza c'è ma appare più formale che sostanziale. «Direi che dobbiamo combattere due nemici-ha dichiarato a The Guardian la soldatessa Nadiya Haran -uno è ovviamente la Russia. E l'altro sono gli stereotipi e lo stigma che si affrontano ogni singolo giorno».
C'è chi, dopo mesi passati al fronte, si è sentita dire che il suo posto «era in cucina» e chi è stata ricoverata in un reparto psichiatrico dopo aver chiesto il trasferimento in un'altra unità. Uno dei problemi maggiormente sentito è quello delle molestie sessuali che si verificano a danno delle soldatesse da parte di alcuni commilitoni: «Ho lasciato la mia brigata-continua a raccontare Nadiya-perchè c'era una persona di alto grado che molestava le donne mie subordinate di cui ero responsabile. Questa persona ha in pratica detto loro che se si fossero rifiutate di fare sesso con lui avrebbe mandato a morire i loro mariti che erano nella stessa brigata».
Come riferito, lo scorso agosto, in un articolo del Mattino, coloro che hanno tentato di denunciare non sono state ascoltate e, nel peggiore dei casi, hanno subito minacce per indurle al silenzio. Come spiegato da Evgeniya Velyka, dirigente dell'organizzazione benefica Arm Women Now «nella società c'è questa forte opinione che le ragazze vadano nell'esercito per trovare marito». Nonostante la viceministra della Difesa Hanna Malyar abbia dichiarato alla BBC che «si tratta di pochi casi isolati» rispetto alle centinaia di migliaia di soldati schierati sul campo, la verità è che il fenomeno del sessismo e delle molestie all'interno dell'esercito sembra molto più preoccupante e diffuso.
Grazie al progetto Battaglione Invisibile, di cui aveva parlato nel 2021 La Redazione, l'attivista Hanna Hrystenco ha documentato, per anni, tutte le vessazioni, le prese in giro, le molestie sessuali e gli episodi di stupro subiti da diverse donne soldato da parte dei propri commilitoni. Secondo la Hrystenco, i dati diffusi dai media nazionali e dai canali ufficiali governativi sono inattendibili perché calcolati per difetto in quanto nella società, e nell'esercito in particolar modo, è ancora molto diffusa una mentalità maschilista che discrimina fortemente le donne che, come detto dall'attivista Iryna Suslova «sono soggetti che spesso non hanno nessuno a cui esporre le proprie lamentale».