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LUGANOLa doppia vita del jihadista Rahim: «Poteva diventare un campione»

29.04.16 - 18:00
Le parole dei colleghi dell'uomo che ha appeso i guantoni per la guerra santa e l'Isis
La doppia vita del jihadista Rahim: «Poteva diventare un campione»
Le parole dei colleghi dell'uomo che ha appeso i guantoni per la guerra santa e l'Isis

LUGANO - Colpire "la città dei crociati" e non più gli avversari. Era questa la missione che si era dato Abderrahim Moutaharrik, per tutti Rahim, italiano di origini marocchine e due volte campione svizzero (il suo club è il Fight Gym di Lugano con sede e palestra a Canobbio) di kick boxing, categoria K1, che a un possibile luminoso avvenire nel suo sport, che è cosa diversa dal pugilato tanto da avere enti e federazioni differenti, ha preferito la 'guerra santa' e l'Isis.

Progettava attentati in Vaticano e all'ambasciata d'Israele a Roma, e ora è finito in carcere invece che sul ring di Seregno dove veniva annunciata la sua presenza il prossimo 14 maggio nonostante fosse sparito, almeno così dicono in palestra, dal settembre dell'anno scorso.

Il segreto del suo successo - Aveva quindi una doppia vita questo 28enne operaio di macchinari per impastare il pane che si stava facendo un nome nella disciplina da combattimento (sportivo) che aveva scelto, e in cui eccelleva in due categorie, quella dei 64 e dei 67 kg. Il suo segreto era di riuscire a rientrare nei limiti di peso pur essendo alto 1.90, "e per questo - dice il suo allenatore a Lugano Andrea Ferraro - a volte gli avversari gli rendevano anche venti centimetri: nessuno riusciva ad avvicinarlo, e vinceva così".

Conferma il napoletano Luca Donadio, campione d'Europa della categoria 64 chili: "non l'ho mai affrontato, ma nel nostro mondo era conosciuto e considerato. Con quel fisico longilineo aveva un vantaggio quasi 'naturale' sui rivali. Mi sembra incredibile ciò che è successo".

«Un talento che poteva fare strada» - Di nuovo coach Ferraro chiarisce: "l'ho allenato fino a settembre dell'anno scorso, poi non si è fatto più vedere - racconta -. Era un fuoriclasse, un talento che nella kick boxing avrebbe potuto fare strada. Era anche un ragazzo educato, gentile e molto determinato. E un gran lavoratore: veniva ad allenarsi almeno 4 volte a settimana. Non so cosa gli sia passato per la testa: a un certo punto, e a una settimana da un incontro che avrebbe dovuto disputare in Lombardia, è sparito. Lo abbiamo chiamato ma non ha mai risposto al telefono, e ci ha fatto preoccupare. Poi un giorno ha messo un post su Facebook per dire che si ritirava dall'attività agonistica per motivi personali. Sono, come si usa dire, caduto dal pero. Peccato, perché ci sapeva fare".

In palestra non ha mai professato certe idee. "Qui sulla parete c'è un crocefisso, e io sono cattolico praticante - dice Ferraro - ma Rahim non ha mai detto niente. So che era islamico, non beveva alcolici, e so anche che dopo aver fatto dei commenti su Facebook qualcuno non era più amico suo, ma io pensavo ad allenarlo e basta. Qui non ha mai professato idee estremistiche, e non avrei mai immaginato che potesse diventare un terrorista".

Poteva invece essere un campione, "perché - ribadisce - nella categoria K1 era veramente uno dei migliori: con quell'allungo poteva tenere a bada chiunque, e lavorava bene anche con gomiti e ginocchia".

E non a caso sul sito della Wkta, uno degli enti che 'governano' il mondo della kick boxing, c'è la sua foto con la definizione "astro nascente del pro-fighting". Uno dei suoi ultimi avversari è stato il romeno Christian Spectu, poi Moutharrik è sparito, perché il lato oscuro della sua vita ha preso il sopravvento.

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