È l’affermazione choc di Alessio Petralli, direttore del congresso multimediale Möbius, in programma nel weekend: «I giovani aprano gli occhi»
LUGANO - «Saremo sempre più controllati, sempre più spiati». Alessio Petralli, direttore del congresso multimediale Möbius di Lugano, giunto alla ventesima edizione, ne è convinto. Il tema sarà affrontato proprio nei dibattiti sui "big data" in programma tra venerdì e sabato al LAC. Una questione di strettissima attualità, considerando l'esito del voto federale in merito alla legge sulle attività informative. E, tenendo anche conto, dell’uscita del film denuncia "Snowden" di Oliver Stone. «Google, Facebook e Amazon, per ognuno di noi, sono in possesso di centinaia di informazioni private. È una situazione preoccupante».
Partiamo dal termine: big data. Cosa si intende con questa espressione?
«Si tratta di una grandissima quantità di dati immagazzinata e selezionata tramite algoritmi sofisticati. Vi è mai capitato di andare su un sito qualsiasi e di ritrovarvi la pubblicità dei vostri prodotti preferiti? Questi colossi sanno, ad esempio, che tu sei un runner e ti propongono scarpe da corsa in continuazione».
Di per sé potrebbe sembrare un buon servizio. No?
«Solo in apparenza. La realtà è che le nostre vite sono ormai condizionate, indirizzate, e non ce ne rendiamo neanche conto. Amazon, ad esempio, ha una potenza mostruosa. Potrebbe fare chiudere in un colpo solo tutte le librerie tradizionali. Questo tipo di pubblicità mirata tra l'altro, mette in difficoltà i giornali e i media tradizionali alle prese con il calo delle inserzioni pubblicitarie. Proprio perché gli inserzionisti preferiscono optare su queste alternative».
Negli Stati Uniti è appena uscito il film "Snowden". Cosa ne pensa?
«È fondamentale che soprattutto le giovani generazioni aprano gli occhi. La pellicola racconta la vicenda dell’informatico della CIA che ha spiegato al mondo come le autorità americane spiassero in continuazione i cittadini a tappeto. Il problema è che questa non è fantascienza. È realtà».
In Svizzera, il popolo in votazione ha dato il via libera alle autorità federali per sorvegliare telefonate, email e traffico dati. Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Io confido nella tradizionale discrezione delle autorità svizzere. Però non si può pensare che più sorveglianza equivalga automaticamente a meno pericoli di terrorismo. Ci sono altre variabili da considerare. Saremo sicuramente meno liberi».
La nostra privacy, secondo lei, è veramente in pericolo?
«Sì. Ma lo è già da tempo. Il rischio di finire sotto inchiesta per avere abbinato in un’email un nome arabo al termine "bomba" potrebbe essere sempre più concreto».
Professore, non sta forse creando troppo allarmismo?
«Non è il nostro obiettivo. Noi vogliamo fare sensibilizzazione. Siamo sempre più localizzati. Google in ogni momento potrebbe sapere dove ci troviamo e quale è il nostro stato di salute. Le stesse compagnie telefoniche sono in possesso di una marea di big data. I "grandi sorveglianti" sanno già cosa faremo domani. E noi no».