La testimonianza di Elia Bertossa, classe 1977, partito dal Ticino per assistere al corteo che ha riempito le strade della città lombarda: «Che emozione il minuto di silenzio per le vittime di Orlando
LUGANO - Duemila persone, con la presenza del console americano. Varese per un giorno è diventata gay friendly. È accaduto sabato per il primo gay pride della città lombarda. Tra i presenti anche Elia Bertossa, classe 1977, partito da Lugano per prendere parte al corteo. «È stata una grande emozione – racconta –. In particolare ho vissuto in maniera profonda il minuto di silenzio per le vittime di Orlando».
È il primo gay pride a svolgersi a così pochi chilometri dal Ticino. Che valore ha avuto per lei questa esperienza?
«Sono occasioni di riflessione importanti. La nostra società non può più fare finta di nulla. Bisogna educare le persone alla libertà, anche sessuale. Non possiamo più sottovalutare nemmeno le prese in giro dei ragazzi nelle scuole, il bullismo. Ci sono adolescenti che si tolgono la vita perché non accettati dalla realtà in cui vivono».
Secondo lei qual è il messaggio più importante che questo tipo di manifestazione dovrebbe lanciare all'opinione pubblica?
«Che i gay sono esseri umani come gli altri. Personalmente ho apprezzato parecchio la presenza di diverse mamme etero con figli. Volevano manifestare solidarietà al mondo gay. In una città di provincia come Varese non è ovvio che accada una cosa del genere».
Lei al gay pride ci è andato da solo?
«Sono partito da Lugano da solo. Poi a Varese ho incontrato alcuni amici di Imbarco Immediato. Erano tutti vestiti da marinai».
Ecco, qualcuno potrebbe dire: «La solita carnevalata...»
«Si sta solo cercando di vivere con leggerezza quello che altri ci fanno vivere come un peso. Sinceramente non bisognerebbe neanche dovere arrivare a manifestare nelle piazze».
Ha accennato al dramma di Orlando. Cosa le ha lasciato questa vicenda?
«Tanta amarezza. Sembra che l'omicida sia un gay represso. È un ipotesi che si fa strada. Buona parte dell'omofobia è dovuta al contesto in cui determinate persone sono cresciute. La tradizione, la religione, a volte soffocano la gente. Dobbiamo riflettere, anche qui in Europa».