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CANTONE"Scrivere ‘Faccio un attentato’ sul web non basta per far scattare un allarme”

27.11.14 - 08:04
Per Fabio Crestani dell’Usi, individuare automaticamente messaggi potenzialmente pericolosi sul social network è “quasi impossibile”
"Scrivere ‘Faccio un attentato’ sul web non basta per far scattare un allarme”
Per Fabio Crestani dell’Usi, individuare automaticamente messaggi potenzialmente pericolosi sul social network è “quasi impossibile”

LUGANO - La morte di Lee Rigby – il soldato britannico accoltellato nel maggio 2013 per strada a Londra da due attentatori di origine nigeriana – avrebbe potuto essere evitata se Facebook avesse individuato e segnalato ai servizi segreti i messaggi in cui gli assassini programmavano l’esecuzione. Lo afferma la Commissione parlamentare d’inchiesta che indaga sulla vicenda. Per la famiglia della vittima «Facebook ha le mani sporche di sangue». Per il premier britannico David Cameron, siti come Facebook dovrebbero essere maggiormente responsabili. Le manchevolezze, del resto, non sono state solo del social network: gli attentatori erano infatti comunque già noti da tempo ai servizi segreti. Con Fabio Crestani, professore della Facoltà d’informatica dell’Usi ed esperto di “text mining”, parliamo di quanto possono materialmente fare social network come Facebook per individuare messaggi potenzialmente pericolosi.

Sarebbe materialmente possibile per Facebook individuare automaticamente messaggi potenzialmente pericolosi e segnalarli alle autorità?

"Avere un programma che capisca il contenuto dei post e dei messaggi che quotidianamente vengono scambiati su Facebook è molto difficile, quasi impossibile. Prima di tutto perché si tratta di un volume enorme di messaggi, milioni ogni giorno. Secondo poi, il linguaggio che le persone usano su Facebook e ancora di più su Twitter può essere molto opaco. Spesso, infine, l’affermazione contenuta in un singolo messaggio è priva di contesto e per ricostruire l’argomento di cui si sta discutendo bisogna analizzare svariati messaggi e post correlati. Non esistono attualmente tecnologie in grado di fare tutto questo".

Non basterebbe che singole parole come “attentato” o “bomba” facessero scattare un campanello d’allarme?

"Procedere sulla base di singole parole può ingannare. Solo perché una persona usa la parola “terrorismo” o “attacco” non vuol dire molto. Segnalare, poi, tutto questo materiale alle forze dell’ordine non ha senso perché la quantità di messaggi individuata sarebbe di centinaia di migliaia, per la maggior parte “rumore” che poi andrebbe passato al vaglio manualmente. Una cosa impossibile, come trovare l’ago in un pagliaio".

Non esistono allora programmi che associno le pagine che la persona lika, i luoghi in cui è stata, gli amici che ha e le cose che scrive per avere un quadro più completo e significativo per una segnalazione?

"Sarebbe molto difficile fare un’analisi di questo tipo e i risultati che ne scaturirebbero sarebbero molto inaccurati e imprecisi. Fra gli aspetti più critici vi è il fatto che quello che si posta su Facebook non corrisponde per forza alla verità: posso segnalare di essere stato alle Hawaii senza esserci mai stato, posso postare contenuti violenti o inappropriati senza condividerli o capirli realmente e senza essere una persona violenta alla resa dei fatti. Posso, al contrario, postare contenuti molto tranquilli ed essere in realtà una persona pericolosa".

Quindi, se domani scrivessi su Facebook “Voglio uccidere Didier Burkhalter” o “Voglio fare un attentato” non succederebbe nulla in concreto?

"Prima di venire all’Usi ero in Gran Bretagna, dove ho lavorato a diversi progetti con Scotland Yard. Prima di tutto è difficile che l’affermazione venga individuata e colta attraverso i sistemi informatici. Secondariamente, l’azione di controllo scatta solo in casi molto particolari: quando la persona è già conosciuta alle forze dell’ordine, per esempio. In tutti gli altri casi, di persone qualunque che non hanno mai commesso reati e scrivono cose del genere, non succede nulla".

 

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