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PARADISO“I talebani hanno ucciso il mio papà”

24.11.14 - 06:00
È fuggito dall’Afghanistan con la famiglia, ma l’ha persa durante il viaggio. La storia di un ragazzino che si trova solo a fare il profugo
“I talebani hanno ucciso il mio papà”
È fuggito dall’Afghanistan con la famiglia, ma l’ha persa durante il viaggio. La storia di un ragazzino che si trova solo a fare il profugo

PARADISO - Said Omid Hosseini ha 17 anni, è nato a Kabul. A quattordici anni è arrivato in Svizzera, era quello che si definisce un richiedente l’asilo minorenne non accompagnato. Oggi ha un permesso F, è ammesso provvisoriamente. Dall’Afghanistan è dovuto fuggire dopo la morte di suo padre. Faceva l’autista. Trasportava merci per le missioni straniere. “Un giorno stava trasportando un generatore, mentre lo stava scaricando i talebani gli hanno sparato un missile”, ci racconta.

La fuga - Quel giorno per la famiglia Hosseini iniziò la fuga. Attraversarono l’Iran alla volta della Turchia, poi verso la Grecia. Arrivati al confine, la confusione ha spezzato un’altra volta la loro famiglia. “Non li ho visti più”, racconta. Said riesce comunque a superare il confine e in Grecia uno zio lo aiuta: “Mi ha pagato il camion per l’Italia, 4000 euro. Ho viaggiato dietro, nascosto tra le merci”. Arrivato a Milano acquista un biglietto per la Svizzera, come un viaggiatore qualsiasi. “A Chiasso mi hanno controllato, ho mostrato loro una carta d’identità bulgara”. Il documento falso fa parte del pacchetto organizzatogli dai passatori che lo hanno preso in Grecia. Ovviamente non supera il controllo, così viene accompagnato al centro di registrazione di Chiasso.

Affidato al Ticino - “Sono stato trattato bene”. Il giovane è stato assegnato al canton Ticino. Prima lo hanno ospitato a Biasca, da due anni vive nel Centro della Croce Rossa di Paradiso. Condivide una camera spoglia con tre coetanei. La vista sul golfo di Lugano è da far invidia. Il resto è quel che è: un bagno, un cucinino, qualche armadietto, i letti. Non c’è una tv. Questo non gli impedisce di accoglierci offrendoci qualcosa da bere. Dell’aiuto sociale, una volta coperte le spese di alloggio e per la salute, non rimane molto. Poco più di un centinaio di franchi la settimana, che devono bastare anche per cibo e vestiti.

L’Afghanistan – Dopo averlo perso in Grecia, la madre e la sorella di Said sono tornate in patria. Dopo qualche tempo lui è riuscito a ricontattarle, oggi si sentono una volta al mese.  “Stanno bene, grazie”. Anche loro sentono la sua mancanza, ma preferiscono che rimanga qui. “Non mi chiedono mai di tornare, hanno paura”. Un pensiero condiviso dall’Ufficio federale della migrazione, il permesso F di Said è stato concesso proprio perché l’Afghanistan non è un luogo dove è consigliato ritornare. “Qui se riuscissi a studiare potrei avere un futuro. Laggiù forse potrei studiare, ma la presenza dei talebani ti impedisce di lavorare e ti costringe a fuggire”.

La Svizzera – “Qui mi trovo molto bene. Tutti sono molto gentili con me”, racconta Said. “Quello che mi manca, che mi sarebbe piaciuto, è entrare nel mondo dei giovani. Ma non è stato possibile. Se avessi potuto frequentare più a lungo la scuola avrei potuto integrarmi con persone della mia età, imparare meglio la lingua”. Il prima anno, quando Said è arrivato nel nostro paese non è riuscito ad andare scuola. L’occasione gli è stata data il secondo anno: ha frequentato l’anno di pre-tirocinio.

La voglia di studiare – Parlando con Said si capisce che proprio la scuola è il suo desiderio più grande. “Potrei imparare la lingua, diventare autonomo. Prima di venire non sapevo nemmeno che la Svizzera avesse più lingue, mi piacerebbe molto imparare anche il tedesco, un po’ l’ho imparato”. Anche i bambini di Kabul hanno dei sogni, quello di Said era fare l’attore. “Questo però non potrà realizzarsi. Oggi mi piacerebbe fare il Securitas”. Il ragazzo ha trovato un esempio a cui mirare negli agenti di sicurezza che sorvegliano il centro dove vive. “Purtroppo per ora non posso”. Oltre alla maggiore età bisogna aver concluso un apprendistato, che però Said fatica a trovare. “Ho alcuni colloqui, ma con la lingua diventa difficile”, ci racconta. “Se avessi potuto seguire un corso per un anno in più avrei potuto imparare meglio l’italiano”.

L’accoglienza – Said non si lamenta di niente. L’unico cruccio sembrano essere le difficoltà nel trovare la sua strada e la possibilità di frequentare una formazione. “Ho chiesto al Cantone e alla Croce Rossa, mi hanno detto che non possono fare nulla. Sono andato anche tre volte a scuola dalla professoressa con cui ho seguito il pre-tirocinio, mi ha detto che non c’è più posto”. Oltre a ciò il sistema di accoglienza della Confederazione sembra calzargli a pennello. Per trovare una mancanza bisogna tornare indietro nel tempo, durante i primi anni passati qui. “Ero piccolo, avevo malinconia, piangevo spesso. Avrei avuto bisogno di qualcuno che mi ascoltasse, che mi capisse. Non dico un padre o una madre, ma mi sarebbe servito qualcuno che mi stesse vicino”.

Il futuro – Tra pochi mesi Said spegnerà diciotto candeline. La maggiore età potrebbe coincidere con l’uscita dal centro. “Spero di poter uscire, mi piacerebbe convivere con qualcuno che non è del mio paese, che non parla la mia lingua, così potrei migliorare l’italiano”. La voglia è anche quella di esplorare un po’ di più il Ticino. “Ora andiamo in centro, i soldi per andare da altre parti non li abbiamo. L’anno che andavo a scuola avevo l’Arcobaleno , lì qualche volta andavamo anche fino a Melide”.  E… dove gli piacerebbe vivere? “A Bellizona o a Lugano”. Per quanto siano diverse da Kabul, rimane sempre un ragazzo di città.

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