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LUGANOLa verità di Montenapoleone: "Siamo stati truffati, le vittime siamo noi"

18.07.14 - 14:05
Parla il co-titolare del negozio in cui ha lavorato una 23enne frontaliera per 1.300 franchi al mese: "Ha tradito la nostra fiducia. Noi non sfruttiamo nessuno, siamo persone oneste"
Foto d'archivio (Tipress)
La verità di Montenapoleone: "Siamo stati truffati, le vittime siamo noi"
Parla il co-titolare del negozio in cui ha lavorato una 23enne frontaliera per 1.300 franchi al mese: "Ha tradito la nostra fiducia. Noi non sfruttiamo nessuno, siamo persone oneste"

LUGANO - E' stato definito il negozio della vergogna. Il caso della 23enne pagata 1.300 franchi al mese ha fatto gridare allo scandalo e ha riacceso, ancora una volta, gli animi in un cantone ormai sfiancato dalla questione frontalieri e dumping salariale. La 23enne è capitata in un covo di sfruttatori senza scrupoli? A sentire Majid Aflaki, co-titolare della boutique luganese Montenapoleone, invece la realtà, è un'altra. Sì, perché ad essere vittima dell'inganno - Aflaki ne è convinto - è stata la sua società e non la ragazza frontaliera. "Non sono uno sfruttatore, non abbiamo sfruttato nessuno - ci dice Aflaki raggiunto telefonicamente venerdì mattina - Ha tradito la mia buona fede. Mi sento truffato. E' come se mi avessero colpito alle spalle. Noi abbiamo dato lavoro a persone in difficoltà. In passato abbiamo assunto persone con difficoltà e disoccupati. E Francesca (pseudonimo) volevo aiutarla perché mi faceva pena, era un caso umano", ci dice Aflaki.

"Ho bisogno di lavoro" - Tutto ha inizio lo scorso aprile. La ragazza - come ci ha raccontato Aflaki - si era presentata in negozio per chiedere un posto di lavoro. "Diceva che in Italia non trovava niente, che era da 4 mesi senza lavoro e che aveva un'esperienza di lavoro unicamente quale barista. Insomma, che era disperata". La giovane donna riesce a convincere Aflaki, tanto che quest'ultimo si rivolge al suo socio e gli propone l'assunzione. Francesca viene assunta con un contratto a tempo determinato a 1.300 franchi al mese lordi. "Lei diceva di non avere nessuna esperienza nel settore, ma che voleva imparare il mestiere e che era disposta quindi a lavorare a tutti i costi anche se non poteva fare l'apprendista perché c'è una legge che tutela i residenti".

La gioia della ragazza - Francesca è felicissima dei suoi 1.300 franchi al mese. "Il salario, in accordo con la dipendente, era da considerare un salario base, di partenza, che si sarebbe poi via via adeguato con l'andare del tempo". Una sorta di contratto di formazione quindi, ma che non era ufficialmente da considerare come uno da apprendistato. "Era piena di gioia - continua Aflaki - diceva che per la prima volta nella sua vita un datore di lavoro aveva dimostrato comprensione e umanità".

Piano piano l'atteggiamento entusiastico della ragazza si raffredda con lo scorrere del tempo. "Non ne capivo il motivo. Mi sembrava più distratta. E' come se non riuscisse più ad essere concentrata nel suo lavoro. Io le chiedevo se andava tutto bene e lei mi rispondeva di sì, che era tutto a posto".

"Datemi il minimo per legge e la differenza che mi spetta" - Poi arriva la doccia fredda. A inizio luglio la ragazza si presenta sul posto di lavoro dicendo di aver letto un articolo di giornale sul treno e di pretendere una paga di 3.100 franchi, come previsto dal salario normale di lavoro, e gli arretrati. "Io sono cascato dalle nuvole - ha continuato Aflaki - Ma come, mi sono detto. Proprio nel giorno in cui la ragazza aveva superato i tre mesi di prova e le avevamo prolungato il contratto a tempo determinato per altri nove mesi, lei viene a rivendicare questo suo diritto? A me sembra un po' strano'. E questo è stato un colpo basso, e mi sento imbrogliato, truffato. Lei era informata delle leggi e secondo me sapeva cosa stava facendo sin dall'inizio". In altre parole, secondo Aflik, la ragazza conosceva gli strumenti che aveva a disposizione dalla sua parte ed ha escogitato tutto per farsi pagare: "In questo modo lei pretende di essere pagata per cinque mesi".

"E pensare che avevo chiamato l'OCST per chiedere informazioni" - Aflik continua nella sua versione dei fatti: "E pensare che nei giorni in cui stavo facendo le pratiche per l'assunzione della ragazza avevo chiamato proprio l'OCST per chiedere se esistessero delle leggi che imponessero dei minimi salariali. L'interlocutore mi aveva detto che non c'erano minimi salariali in quanto non esiste un contratto collettivo nel settore della vendita".

Perché l'Ufficio degli stranieri le ha rilasciato il permesso di lavoro? - In Aflaki c'è un altro punto che desta dubbi e sospetti nel comportamento della 23enne: "Mi chiedo come mai l'Ufficio degli stranieri abbia rilasciato un permesso di lavoro a 1.300 franchi al mese se è proibito e non si può fare". Il co-titolare del negozio si riferisce al regolamento sugli stranieri lavoratori dipendenti secondo cui "l'ammissione in Svizzera di questi lavoratori sottostà alla verità preventiva del Mercato del lavoro (priorità manodopera indigena, condizioni salariali e lavorative" (vedi riquadro). Dicendo così, al co-titolare del negozio viene in mente quando la 23enne parlava dell'Ufficio degli stranieri. "Mi diceva che i permessi li rilasciavano senza troppi problemi perché tanto non stavano lì a controllare. E allora mi chiedo: la ragazza sapeva come funzionano queste cose? Avrà fatto con altri quello che ha fatto con me?". 

Dubbi pesanti quelli di Aflaki che poi aggiunge: "il giorno in cui è arrivata la ragazza chiedendomi di pagarle il minimo salariale e gli arretrati ho chiamato il sindacato Unia, ma mi hanno detto che non potevano aiutarmi perché non erano in grado di darmi una risposta e di rivolgermi alla camera di commercio. E soltanto alla camera di commercio mi hanno detto che esisteva una legge che imponeva un minimo salariale".

Aflaki insiste nella sua buona fede: "Se avessi voluto fare lo sfruttatore e imbrogliare, avrei fatto figurare sulla busta paga i 3.100 franchi di minimo. Ma non mi era mai passato neppure nella mente una cosa del genere".

E la ragazza che fine ha fatto? "Durante la pausa pranzo è andata dai sindacati. L'OCST mi ha chiamato dicendo che la ragazza non sarebbe più tornata a lavorare perché era stata mandata da loro dal medico che le aveva fatto un certificato medico per malattia. Da quel giorno è sparita e non si è fatta più vedere".

“Di certo non assumerò più nessun frontaliere”, conclude amareggiato il negoziante.

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