Singolare protesta al negozio OVS della capitale. Il CEO del marchio, protagonista di un colossale licenziamento di massa, viene messo” in piazza”. La gerente: «Clima surreale»
BELLINZONA – “Questo signore si chiama Stefano Beraldo. Guadagna più di 2.800.000 euro (all’anno, ndr), ma specula sul personale”. È la scritta che appare all’entrata della filiale OVS, in Piazza del Sole, a Bellinzona. Con tanto di foto del CEO del marchio italiano, protagonista di uno dei più grandi licenziamenti di massa della storia svizzera. Anche nella capitale ticinese, il brand che, appena un anno fa, aveva preso il posto di Charles Vögele, è al capolinea. «Ma noi abbiamo deciso di non tacere – dice Carla Cropano, gerente del negozio –. Io e i miei collaboratori stiamo vivendo una situazione triste. Ci sentiamo abbandonati».
Operazione colossale – È l’estate del 2017 quando OVS (acronimo di Organizzazione Vendite Speciali) ritira le 140 filiali di Vögele sparse per la Confederazione. Comprese le 7 ticinesi. Un’operazione colossale, condita da un profondo restyling d’immagine. «Lo scorso anno a quest’ora stava avvenendo la metamorfosi – ricorda Cropano –. In agosto, anche nella nostra sede, ci furono importanti lavori di ristrutturazione. Con spese folli. A neanche 12 mesi di distanza, ci ritroviamo a piedi».
Ci si guarda intorno – In Ticino hanno già chiuso le filiali di Biasca, Tenero e Sant’Antonino. Restano aperte, per ora, le sedi di Locarno, Lugano, Balerna e Bellinzona. «A noi hanno detto che presto si verificherà il fallimento ufficiale – riprende la gerente bellinzonese –. Stiamo liquidando la merce. È una situazione confusa. Riceviamo le informazioni col contagocce. E spesso le veniamo a sapere dai media. Pare che la parte italiana della ditta abbia già abbandonato la Svizzera. Ormai ci stiamo guardando intorno, siamo rassegnati e siamo alla ricerca di un nuovo impiego».
La fatidica lettera – Sono circa 1180 i dipendenti che tra fine maggio e inizio giugno hanno ricevuto una lettera in cui si ventilava la possibilità di un licenziamento collettivo da parte di Sempione Fashion, la società che sta dietro OVS Svizzera. Un testo in cui si faceva riferimento a una procedura di consultazione a causa di una moratoria e della minaccia di bancarotta.
Taglie troppo piccole – «Noi siamo cascati dal pero – riprende Cropano –. In Ticino le cose tutto sommato andavano discretamente. Anche se subito abbiamo notato un problema. I vestiti di OVS avevano taglie troppo piccole e aderenti. Io venivo da 14 anni di lavoro presso Vögele. Sapevo benissimo che i clienti svizzeri hanno una corporatura robusta e amano le taglie più grandi, rispetto agli italiani. Abbiamo subito fatto presente questa incongruenza alla direzione. Invano».
Fuori contesto – Il problema, stando alla gerente bellinzonese, riguardava soprattutto le filiali della Svizzera tedesca e della Romandia. «Il ticinese, tutto sommato, ha un modo di vestirsi più simile a quello dell’italiano. Anche se, comunque, qualche differenza c’è. Oltre Gottardo, proprio per questa ragione, alcuni negozi andavano male. Non ci si è mai adattati alla realtà locale. Noi, dal Ticino, ogni tanto sentivamo che qualche sede era in difficoltà. Non pensavamo fino a questo punto».
Investimenti scriteriati – La gerente bellinzonese evidenzia come più di una volta la direzione abbia chiesto al personale quali fossero i punti da migliorare nei vari negozi. «Ma alla fine non hanno mai preso in considerazione il nostro parere – riprende –. Anzi, i vertici di OVS hanno continuato a fare investimenti scriteriati. Anche nelle filiali più discoste e nelle quali non c’era la certezza di fare buoni affari. Per loro era importante l’immagine. Fin troppo. Anche qui a Bellinzona, secondo noi, si è davvero speso troppo per il restyling del negozio. È normale che a un certo punto manchino le finanze».
Clima surreale – Tra gli otto dipendenti della filiale bellinzonese regna un clima surreale. Ma anche di grande solidarietà. «I clienti ci manifestano vicinanza. Stiamo svendendo anche il mobilio, pur di arrivare ad avere lo stipendio del mese di luglio. Il cartello all’entrata lo abbiamo messo per fare sentire la nostra voce. È giusto che la gente sappia chi ci ha ridotti così. In altre sedi ci sono stati altri tipi di protesta. Sempre nei limiti della civiltà. Sono settimane di immensa amarezza».