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IRAQ«La guerra all'Isis è finita»

09.12.17 - 19:11
Il primo ministro iracheno Haidar al Abadi ha dichiarato oggi la vittoria contro lo Stato islamico
Keystone
«La guerra all'Isis è finita»
Il primo ministro iracheno Haidar al Abadi ha dichiarato oggi la vittoria contro lo Stato islamico

BAGHDAD - Tre anni e mezzo dopo la proclamazione del 'Califfato', avvenuta in un momento in cui le forze dell'Isis sembravano pronte a marciare su Baghdad, il primo ministro iracheno Haidar al Abadi ha dichiarato oggi la "vittoria" e la "fine della guerra" contro lo Stato islamico.

Le forze governative, ha sottolineato il capo del governo, hanno ripreso "il totale controllo della frontiera con la Siria", l'ultima parte di territorio iracheno che rimaneva in mano ai miliziani seguaci di Abu Bakr al Baghdadi. Del 'Califfo', più volte dato per morto o ferito, non vi è invece alcuna notizia ufficiale.

Dall'altra parte del confine, nei giorni scorsi erano stati i russi e l'esercito siriano ad annunciare la sconfitta dello Stato islamico. Almeno nei centri urbani, perché i jihadisti mantengono ancora il controllo di una lunga striscia desertica che va dalla regione a ovest di Palmira a quella ad est di Dayr az Zor.

Svanisce così il sogno di Al Baghdadi di far risorgere uno Stato musulmano sovranazionale per la prima volta dopo la caduta dell'Impero Ottomano, seguita alla Prima guerra mondiale. Era stato proprio dall'Iraq, in particolare dalla moschea Nuri di Mosul, che il capo dell'Isis aveva proclamato nel giugno del 2014 la nascita del nuovo Stato islamico, dopo che le sue milizie si erano impossessate con una fulminea offensiva di questa città e di quasi un terzo del territorio iracheno.

Per sconfiggere l'Isis sono stati necessari tre anni e mezzo di combattimenti e bombardamenti - in particolare americani in Iraq e Siria e russi in quest'ultimo Paese - che hanno lasciato ferite profonde. Non solo in termini materiali, ma anche morali, con le contrapposizioni di carattere confessionale ed etnico che ancora lacerano il popolo iracheno e pesano sulle prospettive di rinascita del Paese.

Anche gli Usa hanno espresso oggi le loro "sincere congratulazioni" agli iracheni, ma certo non sfugge a nessuno che l'Iraq rischia di rimanere terreno di scontro tra le potenze regionali in competizione per l'influenza sulla regione. Un segnale allarmante è per esempio la visita compiuta nei giorni scorsi in Libano senza il permesso del governo di Beirut del capo di una potente milizia irachena sostenuta dall'Iran, che si è recato sul confine con Israele accompagnato da membri delle forze sciite Hezbollah. Una visita denunciata oggi dal premier libanese Saad Hariri, vicino all'Arabia Saudita.

Ora per il governo di Baghdad è tempo di festeggiamenti, dimenticando per il momento le dispute interne. "La nostra battaglia è stata contro un nemico che voleva distruggere la civiltà, ma abbiamo prevalso con la nostra unità e determinazione", ha affermato Abadi. Incalza tuttavia l'immane compito della ricostruzione. Il Parlamento ha dichiarato nei giorni scorsi otto città (Mosul, Fallujah, Ramadi, Jalawla, Biji, Hawija, Telafar e Zuwiaya) aree disastrate perché hanno subito distruzioni superiori all'80 per cento, mentre tre milioni di persone fuggite dalle loro case rimangono ancora sfollate.

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