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L'OSPITEIl Festival come Heliopolis

20.08.15 - 07:51
Giovanni Merlini, Consigliere nazionale
Tipress
Il Festival come Heliopolis
Giovanni Merlini, Consigliere nazionale

È stata una chiusura del Filmfestival col botto. Dopo l’affollata premiazione Carlo Chatrian ci ha regalato una perla in prima mondiale: Heliopolis, del regista e sceneggiatore brasiliano Sergio Machado. Heliopolis è il nome di una favela nella cui scuola giunge Laerte, violinista talentuoso. Non essendo stato ammesso all’Orchestra sinfonica per una momentanea défaillance durante il test di prova, Laerte decide infatti di ripiegare sull’insegnamento della musica classica ai ragazzi della favela. E così tocca con mano una realtà sociale pesantissima, dove violenza e devianza sono all’ordine del giorno. Storie di sofferenze familiari e di sopraffazioni si intrecciano con l’anelito al riscatto che anima questi giovani, condannati da un destino crudele, ma sensibili al potere liberatorio della buona musica. Grazie alla costanza dei suoi sforzi, Laerte riesce a superare la diffidenza iniziale dei ragazzi e ad instaurare un rapporto di amicizia con loro, diventandone la persona di riferimento. Scandito dalle irresistibili note di famosi brani di Bach, Mozart e Mahler, il film di Machado mi è parso come una metafora del potere del Festival e più in generale della capacità creativa e liberatoria dell’arte e della cultura, anche in un Paese fortunato come il nostro e al riparo dagli enormi squilibri sociali che invece ancora dilaniano il Brasile.
Ma la rassegna locarnese non è solo un’occasione di piacevoli scoperte. È anche un evento aperto a tutti, che s’irradia sul territorio e contagia diverse decine di migliaia di persone. Già da fine luglio si avverte per strada il fermento che prelude alla rassegna di agosto e alle sue innumerevoli manifestazioni collaterali disseminate un po' ovunque. Gli addetti ai lavori che innalzano con perizia lo schermo gigantesco di Piazza Grande, il tramestio metallico delle sedie che vengono disposte sui ciottoli, i camioncini degli uffici tecnici che scaricano la nuova segnaletica, la magnolia davanti alla Posta che si tramuta in piattaforma conviviale, le vetrine che s’identificano con i colori del pardo: tutta la città subisce un’affascinante trasformazione.
Se incroci il pubblico più o meno pazientemente in fila all’entrata delle varie sale, ti rendi conto di che cosa significhi la cinefilia: tutti in emozionata attesa – poco importa se piove o fa un caldo sfibrante – di prendere posto e di confrontarsi con le pellicole selezionate e i loro racconti di vite e realtà vicine o lontane, interpretate attraverso l’occhio e il microfono delle telecamere. Dal Fevi al Palavideo, dal Rialto all’altra Sala non troviamo marziani, bensì persone normali, rapite dal mondo del cinema che ci offre spunti di riflessione e ci pone interrogativi in grado di scuotere le nostre più granitiche certezze.
Ma poi c’è anche l’indotto economico. È interessante vivere una giornata nell’orbita festivaliera dal primo mattino. Tute arancioni che s’impegnano all’alba a garantire l’apprezzato decoro delle vie e delle piazze, studenti che si guadagnano la meritata paghetta gestendo con motivazione le varie sale, alberghi, pensioni, bar e ristoranti che accolgono senza tregua ospiti dalle mille richieste. È un esercito variopinto, ma con una divisa d’ordinanza: tessera al collo, prospetto dei film in mano e borsetta pardata. “Scusi, come arrivo al Rialto?”. Si fermano dal panettiere, fanno un salto in farmacia, perlustrano qualche negozio. Dietro le quinte si muovono a pieno regime tutte le ditte che si occupano di audiovisivo, ma anche di logistica, di catering, di giardinaggio, di sicurezza e via dicendo.
Che sia venerdì o martedì sera, si prova quella sensazione permanente di vacanza e tempo libero, sempre sul crinale tra globale e locale, dal protagonista di Fight Club agli assaggi del formaggio d’alpe. Il Festival non sono solo pellicole giapponesi da 317 minuti o cortometraggi psichedelici. È soprattutto un’iniezione generosa di vitalità artistica, sociale ed economica, in una cittadina turistica che non ha paura di confrontarsi con realtà internazionali. Cultura, commercio e servizi d’accoglienza s’intrecciano in un connubio vincente e sono quindi in molti, dietro le quinte, ad aver meritato anche quest’anno il Pardo d’oro.
Anche a loro va il caldo abbraccio della Piazza Grande.

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