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L'OSPITEGli accordi fiscali con l’Italia e il personale delle banche ticinesi

03.02.15 - 10:36
Daniele Caverzasio, Capogruppo Lega dei Ticinesi in Gran Consiglio
Foto Ti-Press
Gli accordi fiscali con l’Italia e il personale delle banche ticinesi
Daniele Caverzasio, Capogruppo Lega dei Ticinesi in Gran Consiglio

A seguito dell’annuncio della conclusione dei cosiddetti accordi fiscali con l’Italia, che dovrebbero essere firmati entro il 2 marzo, vi sono state in Ticino reazioni di compiacimento e di soddisfazione espresse da più parti, dalla maggioranza del Consiglio di Stato, da vari politici appartenenti ai partiti storici, dalle principali associazioni economiche ( Camera di commercio, AITI, ecc.), ma anche da parte di importanti dirigenti bancari nostrani. Le preoccupazioni però, soprattutto per il futuro dell'occupazione nel settore, non mancano.

Innanzi tutto, va rilevato che questa intesa è ben lungi dall’essere globale e, quindi, dal risolvere tutti i problemi di carattere fiscale esistenti fra Svizzera e Italia: infatti, esso regola soltanto le questioni legate alla doppia imposizione. In particolare, l’accordo contempla l’applicazione degli standards OCSE riguardanti lo scambio d’informazioni su domanda. Concretamente, la Svizzera s’impegna a fornire dati fiscali riguardanti i cittadini residenti in Italia; in cambio, essa non figurerà più sulla black list e, quindi, non sarà più discriminata dalle sanzioni contemplate dalla legge italiana sull’autodenuncia (Voluntary Disclousure Program). Per le altre questioni, in particolare l’imposizione dei frontalieri e l’accesso al mercato italiano da parte di aziende e banche svizzere, per ora esiste solo una “road map”, ossia una vaga disponibilità ad affrontare il problema.

Se si considera la scarsa affidabilità del nostro partner, appare chiaramente che quest’accordo è tutt’altro che favorevole per la Svizzera.

Ritornando alle questioni legate alla doppia imposizione, l’accordo dovrebbe permettere ai cittadini italiani che detengono capitali non dichiarati presso i nostri istituti bancari di partecipare all’autodenuncia mantenendoli in Svizzera, senza dover subire sanzioni più pesanti di coloro che hanno collocato i loro averi presso banche situate in paesi che non figurano sulla “black list”. Questo, secondo gli entusiasti sostenitori dell’accordo, sarebbe il grande risultato che permetterebbe di salvare la nostra piazza finanziaria. Tuttavia, una simile conclusione è un tantino ottimista. L'accordo contiene infatti un'altra pillola avvelenata, infatti prevede che una volta regolarizzati, i depositi potranno essere depositati in paesi che aderiscono allo Spazio Economico Europeo, una difficoltà ulteriore per i clienti italiani presso banche svizzere che dovranno rilasciare dei "waiwer" al fisco italiano che comprometterà la loro privacy. Come reagiranno quindi i clienti italiani, che da anni, se non da decenni o da generazioni detengono rilevanti capitali presso le nostre banche? Non pochi di loro, messi davanti all’obbligo di autodenunciarsi al fisco italiano e, quindi, di pagare consistenti penalità senza avere altra via d’uscita, si sentiranno traditi e perderanno la grande fiducia che riponevano nel sistema bancario svizzero. Per altri, più semplicemente, il mantenimento di capitali in Svizzera perderà molto della sua attrattiva. Di conseguenza, chiuderanno i loro conti e li rimpatrieranno, o li trasferiranno altrove e questi movimenti saranno tutt’altro che insignificanti.Per le banche ticinesi, ciò si tradurrà in un considerevole ridimensionamento degli averi in gestione e, quindi, delle commissioni e, più in generale, delle entrate. Simili sviluppi  non potranno che indurre una  considerevole riduzione degli organici e, quindi, tradursi in licenziamenti, poiché nell’attività bancaria il personale rappresenta di gran lunga la principale fonte di costi.

Davanti a queste prospettive  occupazionali che, purtroppo, hanno elevate probabilità di avverarsi, il minimo che la politica può chiedere è che non siano i collaboratori indigeni degli istituti bancari a farne le spese. Diverse banche presenti in Ticino, in particolare quelle in mano estera, occupano un discreto numero di frontalieri e, soprattutto, un notevole contingente di frontalieri camuffati. In effetti, non sono pochi i collaboratori residenti oltre confine che affittano un monolocale in Ticino: ciò permette loro di ottenere il permesso di residenza (B), pur mantenendo  all’estero il centro dei loro interessi. Così, molte di queste persone arrivano in Ticino il lunedì mattina e rientrano al loro vero domicilio il venerdì sera; altre, giungono perfino a rientrare tutti i giorni. Di fronte a una simile situazione deve essere chiaro che un’eventuale riduzione degli organici deve prima incidere su queste due categorie di collaboratori delle banche e non, come spesso capita, sul personale indigeno.

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