La globalizzazione non è morta, mette in guardia il presidente cinese: e richiede non dirigenti, ma rappresentanti capaci di parlare con la gente
DAVOS - Avrà ragione la maggioranza, che inizia a dubitare della bontà della globalizzazione? Oppure avrà ragione lui, il volto della Cina per la prima volta a Davos: che invita a ripensarci di nuovo, a crederci ancora, a non farsi scoraggiare da quello che raccontano la Brexit o l'elezione di Trump?
Lo si prevedeva in fondo da mesi: che il presidente Xi Jinping sarebbe stato l'uomo del 47° World Economic Forum. E ieri è arrivata la conferma, nel corso della prima giornata di un convegno che, fino a venerdì, vedrà succedersi ospiti ed eventi con la pretesa di spiegare il mondo, che cos'è oggi, dove andrà o dovrebbe andare. Inevitabile che il Celeste Impero si ritrovasse a giocare un ruolo da leader, grazie alla sua economia in ascesa che pian piano - ma neanche troppo - si conquista e/o compra pezzi al di là dei propri confini, con l'obiettivo di primeggiare un giorno in pressoché ogni settore.
«È vero che la globalizzazione ha creato nuovi problemi, ma questa non è una giustificazione per cancellarla», ha dichiarato un attesissimo Xi Jinping dando il via ai lavori. «Nessuno potrà dirsi vincitore in una guerra commerciale», ha aggiunto: elogiando il suo Paese come campione del liberismo, dove non a caso l'economia cresce del 6,7%, a beneficio non solo nazionale ma «di tutto il mondo».
Nel frattempo, però, il ministro dell'energia saudita Khalid Al Falih annunciava che i prezzi del petrolio non potranno che crescere, intervenendo dalla platea a un Forum gravato già da sufficienti ansie: non ultima, quella del terrorismo che l'ha ormai blindato. A segnalarlo, nel discorso inaugurale, anche la consigliera Doris Leuthard, preoccupata da estremismo, conflitti, nazionalismo, protezionismo e instabilità. Un paniere di inquietudini per cui ha chiamato i leader del pianeta a unirsi. «Il mondo di domani farà sempre meno la distinzione fra paesi industrializzati e in via di sviluppo, così come tra élite e popolo. Non bisogna solamente dirigere, bensì collaborare in maniera responsabile».