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TURCHIAAhmed Dahmani non era nella lista dei sospetti

22.11.15 - 13:23
Le autorità belghe non avevano segnalato a quelle turche il nome del cittadino belga sospettato di avere contatti con i terroristi di Parigi
Ahmed Dahmani non era nella lista dei sospetti
Le autorità belghe non avevano segnalato a quelle turche il nome del cittadino belga sospettato di avere contatti con i terroristi di Parigi

ISTANBUL -  I flop non finiscono mai e anche le buone notizie che arrivano dall'inchiesta sulle stragi terroristiche di Parigi nascondono sempre l'inadeguatezza e i clamorosi abbagli dei servizi di intelligence europei.

L'arresto venerdì in Turchia di Ahmet Dahmani, ritenuto un basista utilizzato per i sopralluoghi a Parigi in vista degli attentati, ha suscitato nuovi interrogativi. E ai vertici dei servizi di informazione francesi e belgi sembra che la resa dei conti sia rinviata alla conclusione dell'offensiva dell'Isis.

L'inchiesta parigina ha portato oggi alla diffusione dell'identikit del terzo kamikaze dello stade de France, uno dei due non identificati finora. Entrambi, secondo quanto è stato possibile ricostruire, sarebbero entrati il 3 ottobre dalla Siria in Europa attraverso la Grecia, facendosi passare per rifugiati e approdando sull'isola di Leros. La prefettura lancia un appello alla cittadinanza affinché chiunque abbia notizie le fornisca agli inquirenti.

Ma è sull'arresto di Dahmani che oggi si discute, non soltanto a livello di opinione pubblica ma anche di esperti di intelligence e di dirigenti politici. Dahmani, 26 anni, sospettato di sopralluoghi a Parigi - al Bataclan e davanti ai bistrot da colpire - oltre che nella zona attorno allo stadio de France a Saint-Denis, è stato arrestato in un lussuoso hotel di Antalya, sul mare della costa sud.

Era arrivato in Turchia da Amsterdam il 14 novembre, cioè il giorno dopo gli attentati, quando l'allerta in Francia, nei Paesi confinanti e nel cuore dell'Europa avrebbe dovuto essere al top. Si stava preparando a passare in Siria da quella che finora è stata "l'autostrada" degli aspiranti jihadisti, la frontiera turco-siriana.

Le sue "guide" erano due siriani, Ahmed Tahir, 29 anni, e Mohammed Verd, 23, arrestati anche loro. Sarebbero stati inviati dall'Isis ad Antalya proprio per riportare nella patria della jihad Dahmani. I turchi li hanno fermati mentre si stavano per incontrare.

L'antiterrorismo turco sarebbe stato avvertito della presenza di Dahmani al suo arrivo in aereo il 14, ma soltanto dagli 007 turchi. Dalla Ue, dal Belgio, dall'Olanda, dalla Francia, tutti Paesi che in quei giorni avrebbero dovuto seguire uno come Dahmani passo dopo passo, il nulla totale. I turchi sono andati diritti per la loro strada e l'hanno seguito all'hotel, continuando poi a sorvegliarlo per giorni.

"Se le autorità belghe ci avessero allertato per tempo - hanno protestato fonti dell'inchiesta turca - avremmo potuto arrestare Dahmani già all'arrivo in aeroporto. Esortiamo i nostri alleati a condividere le loro informazioni con noi. Si tratta di un aspetto assolutamente irrinunciabile se davvero la comunità internazionale vuole combattere il terrorismo".

Se le bacchettate di Ankara possono essere attribuite alla tensione fra le autorità di quel Paese da una parte e americani e europei che li sospettano di chiudere un occhio sui ribelli siriani, Isis compreso, resta allarmante l'inefficacia ripetuta dei controlli e della condivisione delle informazioni.

A scatenare le polemiche, già nella settimana scorsa, il mancato arresto di Salah Abdeslam sull'autostrada A2, a Cambrai, quando - 12 ore dopo gli attentati - fu fermato da una pattuglia della stradale francese. Una telefonata alla centrale e il ricercato numero 1 delle stragi - a tutt'oggi introvabile e considerato pericolosissimo - veniva lasciato in libertà.

Quanto alla "mente" degli attentati, Abdelhamid Abaaoud - che le polizie europee ritenevano in Turchia - si aggirava tranquillamente per le vie di Parigi, affittava appartamenti, organizzava le stragi e poi, a piedi, si allontanava in metropolitana.

Il quotidiano Le Monde ha puntato il dito in prima pagina contro il flop dei servizi, sottolineando che in Europa, dopo il massacro nella redazione di Charlie Hebdo, fu "Matteo Renzi, il 9 gennaio, a puntare il dito contro questa falla, chiamando tutti alla creazione di un'agenzia europea di informazione. I suoi partner fra i quali la Francia - ha ammesso il quotidiano - non hanno voluto".

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