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REGNO UNITOI deputati attaccano i giganti del web: «Il radicalismo dilaga»

25.08.16 - 13:04
La contestazione è stata respinta come «imprecisa» dagli interessati, ma bollata come «semplicistica» anche da qualche esperto
I deputati attaccano i giganti del web: «Il radicalismo dilaga»
La contestazione è stata respinta come «imprecisa» dagli interessati, ma bollata come «semplicistica» anche da qualche esperto

LONDRA - I giganti Usa del web globale - da Facebook, a Twitter, a Google - non fanno ancora abbastanza per frenare la propaganda jihadista e di altri estremismi che dilaga attraverso internet. L'accusa, non nuova, arriva questa volta dai deputati britannici della commissione Affari Interni.

E il presidente Keith Vaz sollecita i 'signori della Silicon Valley' a «non nascondersi dietro la dimensione sovranazionale» del loro business e a mostrare «maggiore senso di responsabilità».

La contestazione - respinta come «imprecisa» dagli interessati, ma bollata come «semplicistica» anche da qualche esperto - parte dal presupposto che piattaforme quali Facebook, Twitter o anche YouTube continuino ad essere «il veicolo privilegiato per la diffusione della propaganda» radicale e che siano spesso usate come vere e proprie centrali «di reclutamento di terroristi». La risposta al pericolo è considerata solo parziale, mentre troppo spesso si gioca «allo scaricabarile».

Gli 'imputati' si difendono: Twitter giura di aver chiuso solo negli ultimi mesi 360.000 account a rischio, un dirigente di Facebook assicura che ormai esiste «una strategia complessiva antiterrorismo» adottata dai colossi della rete in collaborazione con le autorità giudiziarie dei vari Paesi.

Peter Neumann, docente al Kings College di Londra e studioso del radicalismo islamico, rimprovera da parte sua ai politici di essere rimasti indietro e di sopravvalutare il web. «Le aziende - dice alla Bbc - stanno facendo molto di più a causa della pressione pubblica», ma l'Isis è tornato all'antico e «assolda ormai gran parte dei suoi adepti in Gran Bretagna o altrove in Europa attraverso contatti diretti e personali, non più solo su internet». Continuare a «imputare il fenomeno a Google, Facebook o Twitter è dunque semplicistico e fuorviante».

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