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CANTONECrowdfunding, anno uno: ma quanto ci piace donare soldi su internet?

27.04.15 - 06:56
In Ticino il finanziamento dal basso è sempre più legato a cultura e arte, che non saprebbero sovvenzionarsi altrimenti. Sporadici i progetti di natura diversa.
tipress
Crowdfunding, anno uno: ma quanto ci piace donare soldi su internet?
In Ticino il finanziamento dal basso è sempre più legato a cultura e arte, che non saprebbero sovvenzionarsi altrimenti. Sporadici i progetti di natura diversa.

LUGANO - Quando nacque era soltanto una forma democratica di finanziamento: che domandava soldi a perdere e aiuto al prossimo. Aperto a ogni idea e iniziativa, ha finito col circoscrivere il suo raggio d’azione: inserendosi inevitabilmente negli interstizi dove altri contributi economici stentano a giungere. Come la cultura, sempre più trascurata da enti pubblici e anche privati: ecco dove il crowdfunding oggi trova la sua direzione e il suo destino, in Ticino come nel resto del mondo.

Un anno di attività della piattaforma progettiamo.ch, la più nota a livello locale per il suo impegno a dar visibilità e quattrini a proposte che abbiano attinenza con il territorio, lo conferma. Trentuno i progetti finora ospitati; ultimo in ordine di tempo a essere approvato quello del teatro Arlecchino di Brissago, che cerca 100mila franchi e la salvezza da oblio e demolizione. Ma anche i quasi 300mila franchi per la Via Crucis di Comologno, o i 75mila per il museo del legno, sono declinazioni della medesima materia. Roberta Nicolò, 43 anni di Stabio, da un anno della cultura ha fatto addirittura una start-up: a dimostrare quanto sia necessario accantonare ormai il pregiudizio altezzoso secondo cui l’arte non si deve sporcare le mani con il denaro e il business.

Roberta, con lei la cultura è diventata addirittura impresa: funziona?

Funziona: anche se le prime vere somme si tireranno alla fine del 2015. Ananse communication Suisse, registrata nell’aprile 2014, è un’agenzia che offre servizi in ambito culturale, sociale e artistico attraverso redazione di business plan, pianificazione di strategie di marketing e comunicazione, progettazione, fundrising. La qualità dei progetti con cui mi confronto sta crescendo.

La cultura sempre più spesso si rivolge al crowdfunding: perché?

A dispetto delle apparenze, trovo siano due ambiti che si sposano molto bene. Per quanto si possa pensare, il crowdfunding è molto più affine alle realtà culturali che ad altre. Un’azienda può trovare canali differenti per perseguire i suoi progetti; per un imprenditore, è più facile reperire finanziatori. La cultura, invece, non è percepita come un’attività lucrativa, ma fine a se stessa. Per questo raramente c’è un manager che le sta dietro e poche persone sono disposti a investire in essa, se non mecenati. Il crowdfunding si colloca a metà strada fra il mecenatismo e l’investimento remunerativo. È un investimento dal basso, fatto da chi ama ciò che decide di finanziare. Il passaggio successivo sarà trasformare la cultura non in un buco nero che assorbe soldi, ma in qualcosa che li rimette in circolo.

Mescolarsi con l’economia, sporcarsi le mani con i soldi: non è una diminutio per chi fa arte?

No. La cultura è business: o almeno così dovrebbe essere, se vuole esistere. Oggi non può restare slegata dal mondo economico. Altrimenti succede quello che è successo in Italia, dove è stata da sempre finanziata dal pubblico: e, davanti a una politica di tagli, crolla.

In effetti negli ultimi tempi in Italia fioriscono le piattaforme di crowdfunding culturale: e qui?

Non c’è molto. Il manager culturale è ancora una figura anomala. Siamo più avanti rispetto all’Italia, ma molto più indietro rispetto all’Europa: alla Francia, alla Germania.

La cultura è anche economia: un messaggio che non riesce a passare?

Pian piano ce la fa. Più ci saranno persone che lavorano in questo settore e hanno questo tipo di approccio, più passerà. Bisogna avere pazienza: anche il fatto che un progetto culturale necessiti di un business plan è un concetto rimasto finora estraneo all’immaginario collettivo. Eppure niente si fa dall’oggi al domani, tutto necessita di pianificazione: anche l’arte.

Con i suoi intenti nobili, l’arte preferisce credere che tutto le sia dovuto.

Esatto. Finché non insorge il bisogno: allora comincia il cambio di mentalità. Certo ci vorrà del tempo.

Una strada obbligata?

Direi di sì. Il futuro sono i manager: è grazie a loro che si potranno eventualmente recuperare i finanziamenti pubblici, che a quel punto non saranno più perduti. Molto bello sbandierare slogan come “la cultura è di tutti”: ma se poi dall’altra parte manca chi li sappia gestire…

 

 

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