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BELLINZONARobert Antoni, lo scrittore da leggere col telefonino

10.09.14 - 06:21
Al festival di Babel arriva il primo autore multimediale: il suo ultimo romanzo si legge con lo smartphone. "Così voglio rivoluzionare la letteratura"
Robert Antoni, lo scrittore da leggere col telefonino
Al festival di Babel arriva il primo autore multimediale: il suo ultimo romanzo si legge con lo smartphone. "Così voglio rivoluzionare la letteratura"

BELLINZONA - Mai pensato di tenere il libro in una mano e il telefonino nell’altra? Per Robert Antoni è questo il futuro della letteratura: indagare le potenzialità di internet applicate al romanzo, genere finora rimasto estraneo alle sperimentazioni che hanno contaminato poesia e arte in genere. Domenica al teatro Sociale, ore 10.30, si potrà avere un saggio di quello che significa: “As flies to whatless boys”, ultimo suo lavoro che gli è costato quindici anni di fatica e gli ha guadagnato il Bocas Prize 2014 per la letteratura dei Caraibi, fa della creatività più audace il suo punto di forza. Inventore il protagonista, personaggio realmente esistito e ambiguo; inventore Robert Antoni, che per la prima volta propone al pubblico un testo corredato di contenuti multimediali. "Si tratta di un romanzo storico – racconta da Manhattan,  New York, dove vive e lavora - basato sulla storia della famiglia di mia madre, che di cognome faceva Tucker.  Nel 1845 i Tucker lasciarono Londra e raggiunsero Trinidad, parte di quella che è stata definita la “Tropical emigration society”. Il leader del gruppo era un tedesco, si chiamava John Etzler. La sua figura ha attratto molta attenzione nel diciannovesimo secolo: era un inventore, sosteneva di aver progettato una macchina che utilizzando le forze della natura, come vento, acqua e sole, poteva lavorare al posto dell’uomo. Una sorta di genio folle, interessato a far soldi".

Robert, perché dedicargli un romanzo?
"Si tratta di un’opera di fantasia, ma molto viva, perché grazie alla mia famiglia ho potuto raccontare molti dettagli sconosciuti sulla figura di Etzler. La sua macchina non funzionò mai: non aveva grande senso pratico e il suo esperimento a Trinidad fu un vero fiasco. Etzler scappò con i soldi, molte persone morirono: inglesi della working class che erano emigrati sognando di trovare una sorta di paradiso e nuove opportunità. Anche alcuni miei parenti morirono. A Trinidad rimase solo un ragazzo di 15 anni, da cui discende la famiglia di mia madre. È lui il narratore della storia. Dietro al romanzo c’è un grosso lavoro di ricerca storica e documentaristica. È scritto totalmente nelle lingue vernacoli di Trinidad, a più voci. Siamo nel 19° secolo, ma immagino che il dialetto di allora fosse simile a quello parlato oggigiorno".  

Immaginare non è un rischio?
"Tutti i miei romanzi ambientati a Trinidad sono scritti in vernacolo. È da sempre il mio interesse e la mia passione".

Che cosa ci trova?
"È una lingua carica di inventiva, poetica in un modo in cui il linguaggio ufficiale non sa essere. Io cerco di mettere in evidenza la musicalità di questo linguaggio, la capacità creativa, l’energia. Da un punto di vista politico, rompe le gerarchie".

Tutti i dialetti, nessuno escluso?
"Il mio lavoro è in gran parte concentrato su Trinidad, ma il mio approccio è generale. Ambiento lì i miei romanzi, ma il mio interesse come insegnante, per esempio, si rivolge a tutto il mondo. Dialetto delle Indie occidentali, ma anche afro-americano, irlandese…"

Qui spesso è bistrattato, lo sa?
"Davvero? Io penso che gli scritti contemporanea più emozionanti siano scritti in vernacolo. Il problema è la traduzione. Ma è un problema, come dire, interessante. Dipende da quanto i traduttori siano disposti a essere creativi. I miei amano inventare linguaggi adatti ad altre realtà e culture. È una difficoltà stimolante". 

Sta descrivendo uno scrittore, più che un traduttore: non le pare?
"Il traduttore è il più abusato e sottovalutato degli artisti. La traduzione è immaginare di nuovo il testo, in un’altra lingua e cultura. Solo i migliori scrittori possono essere i migliori traduttori. Io sono molto fortunato: lavoro con traduttori davvero meravigliosi".

In un romanzo conta di più la storia o la lingua?
"Ho sempre creduto che la storia sia più importante; la lingua serve a portarla alla luce. Ma per me niente crea il personaggio come la sua voce, il linguaggio che usa. Per ciascuno io invento un modo di esprimersi. Fa parte della mia tecnica narrativa".

Anche lei un inventore, come Etzler?
"Il mio obiettivo è il connubio fra forma e contenuto. Etzler era il più pazzo degli inventori; “As flies to whatless boys” spero sia un romanzo innovativo da un punto di vista formale. Io sono un inventore di voci, a questo scopo ho usato diversi tipi di vernacolo, come ho spiegato. Ma nel romanzo ci sono molte altre intrusioni a livello formale. Mi auguro che questo possa essere all’altezza della follia di Etzler. Internet ha un ruolo fondamentale nel libro, dà accesso a documenti e immagini che le parole non saprebbero offrire".

Un libro che si legge con lo smartphone: perché questa scelta?
"Volevo il romanzo fosse innovativo quanto Ezler. Ma la vera ragione è che credo che internet sia un altro strumento disponibile per lo scrittore: è importante cominciare ad abbracciarlo. Voglio dire: per me è importante la trama, le parole sulla carta, il testo. Ma voglio arrivare quanto più lontano possibile con l’esplorazione delle potenzialità della tecnologia applicata alla letteratura. Dunque, se posso aggiungere un nuovo elemento all’involucro, sono pronto. Mi interessa capire come internet cambierà il modo di leggere".

Di leggere, di scrivere oppure entrambi?
"Non c’è modo di evitare che internet cambi entrambi. Non penso allontanerà da noi le storie: semplicemente ce ne darà di nuove. Voglio aprirmi a questa realtà e questo romanzo è il posto perfetto per cominciare. Racconta l’invenzione, l’assunzione di rischio, l’esplorazione: tutto ciò che desidero fare io. Anche se, ribadisco, la storia e le parole sulle pagine restano la cosa più rilevante, per me scrittore".

È questo il futuro della letteratura?
"È un aspetto. Quello che conta è non avere paura . Non voltargli le spalle, vedere cosa si può fare con internet; come può aiutarci a raccontare, come cambierà questa esperienza".

Lei è fra i primi: davvero non hai neanche un po’ di paura?
"In poesia l’innovazione già esiste, la sperimentazione è già in atto. Anche nel mondo delle arti internet è già stato inglobato da tempo. Nei romanzi, è vero, no: è qualcosa che manca, siamo ancora indietro e il percorso è lento. Ma per me è qualcosa di totalmente ovvio".

Non fossi vissuto alle Bahamas, sarebbe lo stesso uno scrittore?
"Mi presentano come uno che viene dalle Bahamas, ma ho vissuto negli Usa, ho studiato lì. Vivo a New York ora, sono stato a lungo a Barcellona, ho due figli spagnoli e vado a trovarli regolarmente. I miei romanzi dipendono di più dal passato della mia famiglia a Trinidad. È qui che sono ambientati. Ci sono alcune influenze delle Bahamas, ma molto viene da Trinidad: il linguaggio, i luoghi, la storia".

Quanto contano i luoghi in cui si cresce o vive nell’immaginario e nel successo di un autore?
"Per me conta il luogo che meglio calza la tua immaginazione; quello dove vivi con la fantasia.  Io devo trovarmi lontano dal paese di cui scrivo, quando scrivo. È difficile per me lavorare se sono a Trinidad o alle Bahamas: meglio New York o Barcellona. Sono importanti i ricordi che ci si porta dentro. Nel mio caso, si tratta di racconti ascoltati dai genitori, dai nonni. Anche le letture e il posto in cui abiti possono entrare nei tuoi romanzi, ma quello che conta di più, per me, sono le voci che ho udito da bambino,  il modo in cui mi è stato permesso di entrare dentro a storie che non mi appartengono".

Che cosa sta scrivendo, ora?
"Ho due progetti. Nel 2000 ho pubblicato una raccolta di storie basate sui racconti erotico-popolari di mia nonna: sto preparando un sequel. Sarà incentrato su un viaggio che sempre mia nonna fece da Trinidad alla Francia: si tratta di una raccolta di storie narrate dalle donne lungo il viaggio. Sto lavorando anche a un romanzo storico, un’idea di un mio ex studente morto prima che la portasse a compimento, nonostante ci abbia lavorato per anni. È un’opera che risente molto delle influenze di  Moby Dick e Melville. I protagonisti sono marinai del diciannovesimo secolo che restano bloccati sulle isole della Nuova Zelanda. È una storia di navi e di relitti".

Continuerà sulla via dello smartphone?
"Non ho idea, sono solo all’inizio. Non so come le mie idee prenderanno forma. Scrivere assorbe molto del mio tempo. A “As flies to whatless boys” ho dedicato quindici anni. Ho cominciato, mi sono interrotto, nel frattempo ho pubblicato Carnival, l’ho ripreso… Scrivere per me è un processo lento".

Sarà la sua prima volta in Svizzera?
"No, ci sono stato diverse volte. Ho fatto molto sci da giovane: ad Andermatt, per esempio. E ho fatto altre visite. Sono molto eccitato all’idea di tornare". 

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