Con un occhio all'euro troppo forte e una replica a chi giudica l'Eurotower troppo sensibile ai rischi d'inflazione e troppo poco a quelli di deflazione, Draghi aggiunge: "non torneremo in tempi brevi" alla prevedibilità del passato. La exit strategy della Bce dalle misure straordinarie è lontana, a differenza di quanto avviene per la Fed e la Banca d'Inghilterra. E ancora: "il Consiglio direttivo si attiverà a salvaguardia dall'inflazione e altrettanto dalla deflazione".
Ma è sui dettagli che il discorso di Draghi, ribadendo l'unanimità dei consiglieri Bce a usare misure straordinarie, rappresenta un piccolo passo avanti rispetto a quanto comunicato da inizio marzo.
Nel radar della Bce figurano rischi diversi che potrebbero richiedere interventi diversi. Il primo rischio: "un ingiustificato inasprimento delle condizioni di politica monetaria", che potrebbe innescare "misure convenzionali" come un taglio dei tassi, o la non sterilizzazione dei 175 miliardi di titoli pubblici comprati fra il 2010 e il 2011. L'innesco potrebbe essere un rialzo dei tassi monetari a breve, tutt'altro da escludere con la liquidità in eccesso delle banche scesa sotto la soglia dei 100 miliardi per la prima volta dal 2011, o l'euro troppo forte.
Il secondo rischio, un credito bancario che non riparte e resta troppo disomogeneo fra i Paesi dell'euro. Per fronteggiarlo, la Bce studia "un'operazione di rifinanziamento a più lungo termine mirata", dunque un nuovo maxiprestito (questa volta condizionato) alle banche. Oppure "un programma di acquisti di attività cartolarizzate (asset-backed securities, ABS)", spiega Draghi. È il credit easing che potrebbe portare l'Eurotower ad acquistare prestiti impacchettati, liberando le banche della loro esposizione verso famiglie e imprese per stimolarle a prestare di più.
Il terzo rischio, la deflazione. "Assistiamo - spiega Draghi - a un peggioramento delle prospettive di inflazione nel medio termine, che richiederebbe un più ampio programma di acquisti di attività".