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ATTUALITÀThat wasn't so hard...

23.12.13 - 17:17
È l’incipit di un editoriale del WSJ di venerdì scorso
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That wasn't so hard...
È l’incipit di un editoriale del WSJ di venerdì scorso

LUGANO - That wasn't so hard… È l’incipit di un editoriale del WSJ di venerdì scorso, caricaturizzando la tormentata decisione, da parte di Bernanke – vale a dire di osare a sfidare i mercati con un primo, timido passo (“tapering” per USD 10 mld mensili) verso una normalizzazione di politica monetaria. In effetti, a parte il cedimento dei metalli preziosi, i mercati non hanno sofferto particolarmente l’annuncio del “tapering”. Ciò detto, va notato che (come nel precedente di maggio-settembre) la reazione dei Treasuries è stata chiaramente più negativa di quella dell’azionario, il che non ci ha sorpreso.

 

Per essere chiari, la politica monetaria rimane ultra-espansiva, tenendo conto anche delle rassicurazioni verbali (forward guidance) fatte da Bernanke circa la stabilità ad infinitum del tasso d’interesse guida. In ogni ripresa economica USA precedente, un tasso d’interesse “a zero” accoppiato a crescita economica non inferiore al 2%, disoccupazione al 7%, mercati edilizio ed azionario in “rally”, avrebbe sorpreso i più. Inoltre, come molti osservatori sostengono, la politica monetaria è probabilmente, da tempo, piuttosto inefficace. Infatti, eccezione fatta per gli effetti ricchezza (boom azionario), che comunque impattano su una quota ridotta della popolazione, l’economia rimane in “trappola della liquidità”. La situazione in cui, a causa dell’avversione al rischio, gli agenti economici hanno una preferenza molto marcata per la liquidità, a discapito della spesa (per consumi) che detta liquidità dovrebbe finanziare. La situazione è ben rappresentata da tre elementi: (i) enorme crescita, dal 2008, della base monetaria (Fed balance sheet); crescita di molto superiore a (ii) quella dell’offerta di moneta (credito); (iii) collasso nella velocità di circolazione della moneta stessa – segnale classico di trappola della liquidità in cui “money printing” non alimenta spese per consumi/investimenti.

 

Data la situazione descritta, perché la Fed è così riluttante/timorosa a normalizzare la politica monetaria, ponendosi in posizione “supina” rispetto ai mercati? A nostro parere, ciò è spiegabile principalmente da due fattori, complementari:

• Pressione politica e da “Wall Street”, che questa nuova, “allegra “ politica monetaria continui. Infatti, banche e governo sono stati i maggiori beneficiari della montagna di liquidità creatasi; certo molto più delle piccole/medie imprese nell’economia reale.

• Rischi, per ora poco evidenti ma probabili in futuro, legati all’enorme ammontare di bond in “pancia” alla Federal Reserve.

 

Riguardo al secondo fattore, va notato che il governo ha per tempo promulgato la legislazione che permette alla Fed di mantenere a bilancio le obbligazioni sino a scadenza, senza dover contabilizzare perdite “mark-to-market”. Quindi, molti ritengono che il rischio economico derivante dalla composizione abnorme del bilancio Fed sia sterilizzato. Tuttavia, rimane il problema dello scenario in cui la Fed potrebbe fronteggiare l’imperativo di dover vendere tali bonds (non un semplice tapering o l’interruzione degli acquisti in automatico) per raffreddare l’economia, laddove gli “animal spirits” si risvegliassero e la domanda di credito (per consumo/investimenti) dovesse accelerare. In uno scenario di forte domanda di credito, rivendere i bond alle banche da cui furono acquistati sarebbe il principale (unico?) modo efficace per riassorbire l’eccesso di liquidità (alludiamo alle enormi riserve bancarie attualmente dormienti alla Fed, ma mobilizzabili dalle banche commerciali per finanziare accelerazioni nel credito).

 

Tuttavia, vendite rapide di tali bonds probabilmente causerebbero enormi problemi di mercato, con rendimenti obbligazionari in aumento, tendenziali effetti depressivi sull’azionario, aumento del costo del credito e, quindi, rischio di una nuova recessione. La preoccupazione della Fed per questa vulnerabilità implicita - la reattività del mercato obbligazionario - probabilmente spiega l’estrema cautela (timore) con cui Bernanke ha approcciato il semplice “tapering”. Probabilmente, ciò spiega anche l’aumentata enfasi della Fed sulla cosiddetta “forward guidance”: comunicazione verbale che “tapering non è tightening” e che, quindi, i tassi d’interesse non “devono” aumentare. Comunicazione, settimana scorsa, rafforzata dalla dichiarazione che, anche laddove la disoccupazione dovesse raggiungere il 6.5% in tempi brevi, la Fed si guarderebbe bene dall’aumentare il “Fund rate” in automatico – anzi, aspetterebbe ancora un bel po’…

 

Plausibilmente, una banca centrale fronteggiata da uno scenario inflazionistico quale quello adombrato, potrebbe ricorrere a controlli amministrativi sul credito: aumenti dei coefficienti di riserva obbligatoria (probabilmente inefficaci, dato l’enorme livello delle “bank reserves”) o, meglio, limitazioni legali alla crescita del credito. Tuttavia, visto che “gli USA non sono la Cina”, e considerata la potenza della lobby bancaria nel Paese, ci pare che tali rimedi rimangano difficilmente attuabili, soprattutto in una “grande economia aperta” come gli USA. In definitiva, mentre in chiusura di 2013 si celebra uno stellare rally azionario, alla Fed si vedono facce meno allegre di quelle che brindano tra la City e Wall Street. La giuria non ha ancora emesso il suo verdetto definitivo…

 

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