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ATTUALITÀRischio Armageddon fiscale negli USA?

08.10.13 - 11:08
La parte finale dell’anno rischia di essere dominata dalle "contorsioni" della politica fiscale
Foto Keystone
Rischio Armageddon fiscale negli USA?
La parte finale dell’anno rischia di essere dominata dalle "contorsioni" della politica fiscale

Come già visto nell’estate 2011, la parte finale dell’anno rischia di essere dominata dalle “contorsioni” di politica fiscale USA – le cui conseguenze rischiano di andare ben oltre i confini americani. Al momento, la fattispecie sotto osservazione è il cosiddetto “shutdown” ma, come andremo a spiegare, ben più apprensione causa la possibilità, per il momento abbastanza remota, che il governo USA vada in default.

Due elementi sono importanti per comprendere come si sia arrivati a tale situazione:

 

• Da anni il tasso di litigiosità della politica americana è molto elevato;

• Repubblicani e Democratici, in conseguenza, da oltre cinque anni non sono capaci di produrre budget annuali per il settore pubblico, con ciò implicando che con scadenze mensili irregolari assistiamo a estenuanti trattative per rinnovare (pro tempore) le “continuing resoultions” (CR). Quest'ultime regolano, in modo abbastanza grezzo, la crescita della spesa pubblica negli "x" mesi successivi.

 

Proprio l’incapacità di arrivare a un accordo sulla CR in scadenza a fine settembre ha provocato lo “shutdown” del sistema federale, a causa della mancanza di autorizzazione alla spesa. Detta chiusura è destinata a continuare almeno per qualche giorno, pare, e comunque fino a quando Repubblicani e Democratici non giungeranno a un accordo (accettabile, ovviamente, anche dalla Casa Bianca). Ciò detto, ben più importante, a nostro parere, è la scadenza successiva sull’innalzamento (o meno) del limite legale all’indebitamento del Tesoro USA – il “debt ceiling” (un altro ingrediente della “frittata fiscale USA” spesso citato è il cosiddetto “sequester”, su cui non ci dilunghiamo in quanto non direttamente rilevante per gli sviluppi attuali).

 

Un primo problema che preoccupa i mercati è di quanto lo “shutdown” potrebbe deprimere la crescita economica, invero già modesta. Il precedente del 1995-96 – con chiusura per circa un mese – illustra una caduta del PIL reale di circa lo 0.35% (annualizzato) direttamente imputabile alla caduta di spesa pubblica. Ovviamente, vi sarebbero anche degli effetti non-quantificabili indiretti (“second round effects”) - dovuti alle reazioni economiche di famiglie e investitori (reali) all’impasse del settore pubblico. Per la situazione odierna, possiamo citare stime dell’impatto economico diretto (fonte: Morgan Stanley, Macroeconmic Advisors) che quantificano la caduta di PIL reale, coeteris paribus, in 0.15% per settimana (il Consensus recentemente vedeva la crescita USA nel T4 a 2.5% t/t, annualizzato).

 

Tuttavia, le perdite sarebbero ben maggiori se il parlamento USA non riuscisse ad accordarsi sulla revisione al rialzo del limite all’indebitamento statale (USD 16.699 trn) di cui il Tesoro abbisogna, entro il 17 ottobre. In realtà, il Tesoro potrebbe onorare creditori finanziari e commerciali sino alla fine del mese ricorrendo a manovre straordinarie, ma novembre vede troppi impegni di spesa “sensibili” - incluso un pagamento di USD 31 mld per interessi debitori (15 novembre). Le “manovre straordinarie” vertono sull’’alternativa di (a) stilare liste di priorità per tutti i pagamenti e/o (b) semplicemente ritardare i pagamenti.

 

In breve, nessuna delle due soluzioni è praticabile oltre il brevissimo termine a causa di potenziali problemi legali e, soprattutto, per l’enorme complicazione burocratica che la mole di lavoro richiesta comporta (tra l’altro, ritardare tutti/parte dei pagamenti indurrebbe i creditori a ricorrere al credito per compensare gli “ammanchi”, con potenziali, gravose conseguenze sui tassi d’interesse a lunga).

 

In tale scenario il rischio - anche legato a errori gestionali del cash flow - di default su interessi/rimborsi ai creditori obbligazionari, diventerebbe elevato. Ciò avrebbe conseguenze economico-finanziarie molti gravi.

 

Il precedente caso risalente ad agosto 2011, quando un default fu evitato all’ultima ora, è al riguardo illuminante. Allora si ebbero forti tensioni finanziarie: cedimenti di borsa, aumenti nei tassi d’interesse e in vari spread, aumenti delle volatilità, caduta nella fiducia di consumatori e imprenditori. In definitiva, tutte queste tensioni causarono una marcata decelerazione del PIL reale - da crescita annualizzata al 3.2% nel T2 a solo 1.3% nel T3, seguita comunque (a problema default evitato) da un’accelerazione al 4.8% nel T4. Tutto ciò, comunque, solo per il semplice timore che il governo USA potesse andare in default (il che non avvenne).

 

Fra poche settimane, a tasso di litigiosità politica peggiore di allora, e con un’economia probabilmente già fiaccata dallo ”shutdown”, si prospetterebbe, di nuovo, il rischio di un default del Tesoro USA.

 

In un recente paper redatto dal Tesoro stesso (forse “ad arte”, per indure i politici a più miti consigli), i tecnici di Washington prospettano uno scenario tipo-Armageddon come conseguenza di un ipotetico default del governo americano.

 

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