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ATTUALITÀPil globale in progressiva decelerazione

18.07.13 - 16:01
Il FMI ha abbassato la stima per la crescita economica globale 2013
foto keystone
Pil globale in progressiva decelerazione
Il FMI ha abbassato la stima per la crescita economica globale 2013

La nostra previsione (fine Maggio) di crescita economica mondiale per il 20’13 è 3%. Senza voler alludere a eventuali “causalità”, nelle recenti settimane Banca Mondiale, OCSE e FMI hanno tutti rivisto al ribasso le loro previsioni. Settimana scorsa, il FMI ha abbassato la stima per la crescita economica globale 2013 di 0.2 pp, a 3.1%, dopo che la stessa era già stata ribassata ad aprile. La decelerazione economica dipende largamente, in termini geografici, dalla decelerazione nei paesi BRIC; anche se va detto che UEM rimane in recessione mentre la crescita USA si attesta solo a circa 1.4% tra T4:2012 e T2:2013. Unica sorpresa positiva sarebbe il Giappone, la cui crescita economica nel 2013, grazie alla spinta della cosiddetta “Abe-nomics”, viene adesso prevista ad un buon 2% – revisione al rialzo di mezzo punto percentuale. Stando al Fondo, la crescita globale annualizzata nella prima metà dell’anno sarebbe attorno al 2.7%; quindi l’ente di Washington prevede (spera in) un’accelerazione nella seconda parte dell’anno. Che tale occorrenza sia, almeno in parte, una speranza (non solo una previsione), si evince dalla lunga lista di fattori di rischio – tutti negativi – che lo stesso FMI appende alla sua previsione.

 

Fermo restando che, per quel che concerne l’investitore di breve termine, crescita economica debole è paradossalmente positiva in quanto alimenta la speranza di “tapering” ritardato da parte della Fed, quindi permettendo alle banche centrali di continuare a iniettare liquidità in un sistema ormai assuefatto alla medicina monetaria, per chi si orienta al medio-lungo termine rimane cruciale capire se azioni, corporate bonds e materie prime potranno beneficiare, o meno, della domanda che sottende la crescita del PIL.

La situazione al riguardo è poco rassicurante, come si deduce dal fatto che lo stesso FMI ammette che le politiche economiche tradizionali (“demand management” fiscale e monetario) stanno perdendo efficacia. La leva fiscale, in quanto il rapporto debito/PIL nel G10 sta diventando insostenibile, quella monetaria per la problematica della “trappola della liquidità”. (La banca centrale crea base monetaria dando liquidità alle banche, ma queste la ri-depositano presso la banca centrale – avendone investito una quota sui mercati - piuttosto che trasmettere l’impulso all’economia reale.) Quindi il Fondo raccomanda piuttosto l’uso di politiche di supervisione (bancaria) e le cosiddette “macro prudential policies”, volte ad esempio a stimolare i consumi in Cina e gli investimenti in Germania.

 

Vari sono, come detto, i fattori di rischio che possono giustificare pessimismo sulla crescita globale di medio termine.

 

In primis forse abbiamo la problematica di come verrà gestita, soprattutto dalla Fed, quella “exit strategy” (vendite di bond e, possibilmente, aumento dei tassi) che prima o poi dovrebbe essere inevitabile. Quanto successo ai mercati tra maggio e giugno, a seguito di dichiarazioni poco rassicuranti sul “tapering” da parte di Bernanke, è abbastanza illuminante sulla complessità dell’esercizio. Vi è il rischio che il mercato, in fase (o anticipando) di “exit strategy”, spinga i tassi a lunga talmente al rialzo da handicappare la crescita economica. Non è perciò casuale che il FMI, nel suo rapporto di settimana scorsa, abbia fatto velate critiche alla Fed, esortandola a essere “chiara” nella sua comunicazione riguardo “exit strategy e affini”.

 

Altro fattore di rischio citato dal FMI sarebbero i bilanci bancari che, in aggregato, non sarebbero ancora tornati in salute, il che prolunga l’inefficiente trasmissione della politica monetaria, da banca centrale a economia reale. Non solo, per quanto riguarda gli USA, il Fondo ritiene che la restrizione fiscale implicata dal “sequester” continuerà anche nel 2014, ben oltre quanto assunto in precedenza. Sempre originante dagli USA, vi è poi il rischio che la recente volatilità dei mercati si traduca in stress finanziario (vedi primo grafico) e/o che spinga al rialzo l’avversione al rischio – danneggiando in conseguenza gli investimenti reali e i flussi finanziari a favore delle economie emergenti.

 

Last but not least, aggiungeremo noi, in tempi recentissimi è emerso il rischio di un repentino aumento nel costo dell’energia, in pratica il prezzo del petrolio, che sta salendo a causa dei timori di restrizioni all’offerta del greggio che conseguirebbe a prolungati disordini in Egitto. (Quasi il 10% del petrolio che viaggia per mare dipende dalla possibilità di passaggio in acque egiziane.) Per il momento l’aumento di prezzo rimane contenuto, soprattutto se si nota che esso riguarda principalmente il WTI americano (14% sul trimestre) e meno il Brent (4.5%) – il che tra l’altro implica la forte restrizione nell’anomalo spread di prezzo Brent / WTI, cui abbiamo assistito dal tardo 2010.

 

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