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ATTUALITÀResistenza svizzera

11.06.13 - 11:12
Giorgio Radaelli, Chief Global Strategist BSI
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Resistenza svizzera
Giorgio Radaelli, Chief Global Strategist BSI

LUGANO - Da diverso tempo, l’economia svizzera sta dando una buona prova di sé, non solo in termini di tenuta del “balance sheet” ma anche per quel che riguarda la crescita economica. Questo è confortante per chi investe e opera nella Confederazione, vista la scarsa crescita globale sofferta dalla “grande recessione”, tenuto inoltre conto dei diffusi timori (per l’economia) che il super-Franco ha creato negli ultimi anni.

Nel T1:2013 il PIL reale svizzero è aumentato dello 0,6% t/t e dell’1.4% a/a. Degli impulsi positivi sono giunti dai consumi privati, dagli investimenti nell’edilizia nonché dal commercio estero, mentre sono calati gli investimenti in impianti e attrezzature. Per quanto concerne la produzione, il T1 ha registrato un incremento del valore aggiunto nei settori economici dell’industria, dell’edilizia, del settore finanziario e di alcuni servizi non finanziari privati e pubblici. Guardando al breve e medio termine, per il 2013 è ragionevole prevedere un aumento del PIL reale relativamente moderato, pari all’1,3%, con un’accelerazione probabile nel 2014. Sebbene stia tornando la fiducia nella congiuntura, i rischi non sono scomparsi. In particolare quello del rallentamento globale, soprattutto in area UEM (Unione Economica e Monetaria dell’Unione Europea) che è il più importante mercato di sbocco per l’export elvetico. Inoltre, dal punto di vista finanziario, come ci ricorda l’andamento dei mercati di settimana scorsa, non sono spariti i problemi strutturali (trade-off tra crescita economica e tenuta del debito pubblico) in vari stati membri della UEM.

Ciò detto, vale la pena di sottolineare che la crescita economica elvetica continua, per quanto moderata in termini assoluti, ad essere superiore a quella di vari paesi europei. Il primo grafico mostra come, da vari anni a questa parte, la Confederazione abbia un trend economico migliore di quello nei paesi limitrofi. Tale divaricazione dei sentieri di crescita diventa evidente dal 2007, e si accentua nel 2010.

Da un punto di vista “descrittivo”, guardando alle componenti del PIL, pare chiaro che un motivo importante per questa situazione sia la resilienza delle esportazioni elvetiche. Infatti, il secondo grafico mostra che, a fronte di un PIL reale in “discreta” ascesa, aumenta il peso della componente-export. Infatti, dopo il calo nella quota export/PIL dal 55% al 50%, nella fase iniziale della “grande recessione”, tale quota ha progressivamente recuperato il suo picco del 55%. Se è vero che durante l’accelerazione del CHF, tra 2008 e 2011, la crescita dell’export reale svizzero è calata da circa 10% a/a a quasi zero (a fronte di crescita di lungo termine attorno al 5%), è anche vero che le imprese elvetiche sono state in grado di mantenere le quote di mercato nei maggiori mercati di sbocco – tramite compressioni dei margini di profitto ma anche grazie al fattore “qualità”. Un settore export di qualità è vitale in quanto, per un’economia matura quale l’elvetica, il tasso di crescita della domanda interna tende ad essere inferiore a quello prevalente in vari mercati di sbocco (emergenti - su cui la Svizzera si sta orientando).  Ergo l’esigenza di legare una quota “pesante” del PIL (svizzero) alle fortune della domanda in paesi a crescita “fisiologicamente superiore”.

Altro fattore importante per la crescita economica svizzera è la tenuta dei consumi privati, che continuano a crescere a tassi reali tra 1.5% e 2% - superiori a quanto si ha nell’area UEM. Questo dipende dal fatto che i redditi reali disponibili delle famiglie sono mantenuti “elevati” grazie alla bassa inflazione e alla forza del cambio - che riduce i costi delle merci importate - oltre che alla “deregulation” nella vendita al dettaglio. Quest’ultima favorisce la competizione tra i venditori e migliora le opportunità di spesa per i consumatori. A ciò va poi aggiunto anche il fattore finanziario – i bassissimi tassi d’interesse - che incentiva la propensione alla spesa tramite credito. (I tassi troppo bassi tendono anche a creare rischi di bolle speculative – ad esempio immobiliari – ma questa è un’ “altra storia”).

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