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BEST OFTindersticks: "Raccontiamo la morte celebrando la vita"

04.04.12 - 09:17
David Boulter s'inoltra nella genesi di The Somenthing Rain, il terzo disco dei Tindersticks registrato dopo la reunion del 2008
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Tindersticks: "Raccontiamo la morte celebrando la vita"
David Boulter s'inoltra nella genesi di The Somenthing Rain, il terzo disco dei Tindersticks registrato dopo la reunion del 2008

NOTTINGHAM - David Boulter s’inoltra nella genesi di The Somenthing Rain, il terzo disco dei Tindersticks registrato dopo la reunion del 2008.

Stuart A. Staples (voce, chitarra), David Boulter (pianoforte, tastiere) e Neil Fraser (chitarra), ossia coloro che all’inizio degli anni Novanta recuperarono le sonorità di Ennio Morricone e le amalgamarono al cupo romanticismo di Nick Cave e di Leonard Cohen con Dickon Hinchcliffe (violino), Mark Colwill (basso) e Al Macaulay (batteria), nel 2008, dopo una serie di progetti individuali e il presunto scioglimento della band, senza autocelebrarsi, ripresero in mano quanto avevano concepito e generato oltre quindici anni prima, i Tindersticks. I tre, orfani della metà della formazione, nel momento in cui ripartirono, decisero di mai voltarsi indietro e servirsi del presente: reclutarono così Dan McKinna (basso) e Thomas Belhom (batteria) per le registrazioni di The Hugry Saw (Beggars Banquet, 2008), ma la nuova line-up definitiva si costituì soltanto nel 2010 per le recording session di Falling Down A Mountain (4AD Records) con l’arrivo di Earl Harvin in sostituzione di Belhom.

A differenza delle due produzioni precedenti, in cui le composizioni erano esortate dalla matrice folk di Staples speriementata all’interno delle Leaving Songs (Beggars Banquet, 2006), The Somenthing Rain pare voglia fornire un legittimo margine di manovra a Dave Boulter, sia in sede compositiva, sia in ambito di esecuzione. Un disco suddiviso in nove nobili tracce di marcata ispirazione black (Bobby Womack, Isaac Hayes) e french downtempo (Air), all’interno delle quali la morte viene narrata senza l’utilizzo e, soprattutto senza l’abuso, di scontate metafore...

“Sono convinto che questo disco ci sia servito per elaborare la morte. La morte di Ian Bridge, di Ian Rockley, di Ian Osborne e di Lhasa de Sela. È dedicato a loro, ma alla fine, purtroppo, serve soltanto a noi…”.

Dave, potresti fare un’analisi dei testi?
Abbiamo raccontato la morte celebrando la vita. O per lo meno, questo è quanto abbiamo tentato di fare...

Possiamo definirlo un concept?
È vero che il disco ruota attorno a un tema, ma ogni composizione è munita di singole impressioni, in un certo senso lontante dal brano che segue o, rispettivamente, da quello da cui è preceduto... Per rispondere alla tua domanda, quindi, direi di no...

Le recording session si sono svolte ancora all’interno de Le Chien Chanceux, lo studio di Stuart a Limoges, in Francia?
Sì, certo. Oramai lui vive lì accanto da qualche tempo...

Tu, Neil, Earl e Dan siete sempre di base in Inghilterra?
No, l’unico è Dan. Io vivo a Praga, Earl a Berlino e Neil in Belgio...

A chi è dedicata la traccia che chiude il disco, Goodbye Joe?
A Ian Rockley. Con lui condividevo la band omonima poco prima di conoscere Stuart e dare vita agli Asphalt Ribbons, la formazione che ha preceduto i Tindersticks...

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