Cerca e trova immobili

TICINO / LOMBARDIABalairatt, io frontaliere al contrario vi dico: "Ticinesi, aprite gli occhi!"

01.10.10 - 14:36
Il parere del manager del Distretto del commercio di Varese Claudio Gianettoni, uno dei circa 400 frontalieri ticinesi che lavorano in Italia: "Dobbiamo superare il trauma psicologico creato dalla diffidenza nei confronti dell'Italia"
None
Balairatt, io frontaliere al contrario vi dico: "Ticinesi, aprite gli occhi!"
Il parere del manager del Distretto del commercio di Varese Claudio Gianettoni, uno dei circa 400 frontalieri ticinesi che lavorano in Italia: "Dobbiamo superare il trauma psicologico creato dalla diffidenza nei confronti dell'Italia"

BELLINZONA - Il polverone sollevato dall'ormai famigerata "bala i ratt" riporta a galla una problematica oggettiva: la massiccia presenza di lavoratori frontalieri in Ticino. Un fenomeno che tocca da vicino molti lavoratori residenti, soprattutto quelli più deboli, che stanno vivendo sulla propria pelle il dramma della disoccupazione. Disoccupazione che, nel nostro cantone è più alta rispetto alla media federale. Qualche mese fa, per esempio, vi avevamo raccontato della storia di Stefano, padre di famiglia di Balerna e magazziniere in una ditta di spedizioni del Mendrisiotto che, licenziato dopo 25 anni di servizio, si è sentito dire in un colloquio di lavoro, che con i 3.900 franchi che guadagnava ci avrebbero pagato due frontalieri.

D'altronde anche le statistiche messe a disposizione dal Cantone evidenziano come, nonostante il periodo di crisi, il numero di lavoratori frontalieri occupati in Ticino sia continuato a crescere. Nel novembre di un anno fa, Sergio Montorfani, direttore dell'Ufficio Cantonale del lavoro, ce lo spiegò chiaramente: "l'evoluzione del numero di frontalieri è indipendente dalla congiuntura economica e quindi dall'evoluzione della disoccupazione". In altre parole, niente più filtri, lo Stato non ha più nulla da dire.

Il Ticino, però, ha molte potenzialità. Il Ticino, non è soltanto banche. Ma è fatto di industrie, ricerca, commercio. Un Ticino che può fare di più e che ha tutte le potenzialità di farlo. Di ciò ne è convinto Claudio Gianettoni, 60 anni, ticinese doc (di origini verzaschesi) consulente aziendale e manager del distretto del Commercio di Varese. Uno dei pochi frontalieri al contrario (nel 2000 erano in 417) che ogni giorno da Lugano varca il confine italo-svizzero per andare a lavorare in Italia.

Gianettoni, Lei è uno dei pochi frontalieri ticinesi, per così dire, al contrario...
"Eh si... (ride). Originario della Verzasca. Lo dico perché di Gianettoni ce ne sono anche a Minusio e a Gordola".

Un ticinese doc...
"I Gianettoni in Ticino da sempre. La famiglia di mia madre dal '500. E' una Leoni. Arrivarono a Roma dalla Spagna, dove furono cacciati perché "marrani". Quindi, possiamo dire, che io sono il nuovo "marrano". (ride)

Da ticinese che opera e lavora in Italia, si trova imbarazzato della campagna antifrontalieri in Ticino? I suoi colleghi di Varese come l'hanno presa?
"No guardi, ho la fortuna di avere la stima dei miei colleghi e dove opero il tema della nazionalità è un elemento irrilevante. Contrariamente a quanto succede in Ticino, dove prima di poter parlare di lavoro uno deve sapere chi sono e da dove vengono i tuoi genitori e che cosa fanno i tuoi fratelli, l'Italia ha la fortuna di avere una dimensione di Paese completamente diversa. Diciamo che qui è considerata più importante la qualità delle persone, rispetto al luogo di provenienza".

Lei sfata un luogo comune. E cioé quello che dice che in Italia bisogna essere figli di...
"Attenzione, non confondiamoci. Chiaramente sul tema dell'appartenenza alle cosiddette "famiglie" posso dire che, è vero, talvolta le qualità e le competenze che uno potrebbe esprimere non sono ricompensate in modo adeguato, come avviene in altri paesi. In tutti i casi, sotto questo aspetto, posso dire con altrettanta tranquillità che il Ticino soffre della stessa "malattia" italiana. Lo dico per esperienza. Ho lavorato a Zurigo. Lassù si è apprezzati e riconosciuti per la professione che uno svolge, in Ticino ho la sensazione che sia ancora importante il partito di appartenenza e la famiglia di provenienza".

Ora parliamo del suo lavoro. Lei, da quanto ho capito, è il manager del distretto del Commercio di Varese.
"Mi occupo di creare sistema e cioé di sviluppare e migliorare in termini qualitativi l'attrattività del centro di Varese".

Per le aziende ticinesi, c'è l'interesse nei confronti di Varese e della sua provincia? Se consideriamo che i frontalieri ticinesi in Italia sono circa 400, mentre un migliaio sono le persone di cittadinanza svizzera o che sono comunque nate in Svizzera che "fanno impresa" nella provincia, c'è spazio per il Ticino a Varese?
"Vede, il problema è che il Ticino non ha ancora capito fino in fondo quanto sono grandi le opportunità che potrebbe avere collegandosi con un mercato, quello lombardo, che è una volta e mezzo quello della Svizzera".

In Ticino si rivendica, da parte del mondo economico, la mancanza di reciprocità...
"Una pura illusione. Perché non chiediamo agli impresari di Lugano di partecipare ai bandi di concorso a Bellinzona? Non lo fanno, perché hanno abbastanza lavoro a Lugano. E' inutile rivendicare la reciprocità quando, molto spesso, da parte delle aziende ticinesi  manca l'interesse e il coraggio di varcare il Ceneri".

Lei mi vuol far capire che siamo abituati troppo bene e che facciamo fatica a uscire dal nostro microcosmo ovattato?
"Esatto. Sarei curioso di vedere, se facciamo una statistica, quante aziende nel Mendrisiotto lavorano per il mercato svizzero e quante per il mercato italiano. Prendiamo come esempio Zegna, Versace, Armani. La lista è lunga. Sarebbe azzardato dire che il Ticino lavora grazie all'Italia?"

E' vero che queste aziende italiane si installano in Ticino grazie alle migliori condizioni quadro generali, a partire dal fisco.
"In tutti i casi dobbiamo dire che, alla fine, in questa situazione, è il Ticino che ci guadagna. Di queste condizioni, è vero, ne approfittano anche queste aziende e la cosa non mi scandalizza, sempre che non vengano trascurati gli aspetti legati all'equità e alla correttezza. In Ticino non ci rendiamo conto che abbiamo la possibilità di fare i mediatori con un mercato, quello lombardo, con una potenzialità enorme che cerca e necessita di capacità gestionali e amministrative".

Un'altra delle critiche mosse nei confronti della politica di sviluppo del cantone riguarda l'arrivo di aziende, anche estere, che, alla fin fine, creano sì occupazione, ma a basso valore aggiunto e a stragrande maggioranza frontaliera. Nell'orologieria, per fare un esempio, i duemila dipendenti del settore sono quasi tutti frontalieri.
"Guardi, preferisco evitare di dare giudizi sulla politica economica del canton Ticino. Meglio non aprire questo capitolo. Vorrei, però, far notare la grande ammirazione delle province di Como, Varese e Milano nei confronti del nostro sistema universitario, capace di creare competenze eccellenti. Vorrei capire come mai le persone formate dalla nostra università, una volta fuori dal Ticino, non ci tornano più".

E come mai non tornano più, secondo lei?
"Semplicemente perché non siamo in grado di creare condizioni quadro di sviluppo, a partire dai finanziamenti alle aziende".

Lei cosa rimprovera di più al sistema economico ticinese?
"E io le faccio una domanda.. Perché deve essere solo Mario Botta che va a progettare in Italia?"

Cosa ci manca allora? Cosa manca al Ticino?
"Non siamo riusciti a superare il trauma psicologico dei fortini della fame di Sementina e Giubiasco. Un trauma che ha creato la diffidenza assoluta nei confronti dell'Italia. Una soggezione oserei dire, oltre che soggettiva, di tipo psicosomatico. Non scordiamoci della storia. Non scordiamoci dei ticinesi che hanno costruito le fornaci a Venezia e a Modena e hanno esportato le tecniche di produzione dei mattoni e della terracotta. Non scordiamoci del coraggio di quei ticinesi gessisti e stuccatori che sono usciti dal Ticino e sono andati in tutto il mondo".

p.d'a.

Foto d'apertura: Archivio Tipress

 

 

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE