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CANTONEI mestieri che i ticinesi non vogliono fare

18.05.10 - 09:16
Da una parte le continue polemiche contro i frontalieri. Dall'altra la cruda realtà: tra la popolazione locale mancano determinati profili. Soprattutto per settori come l’edilizia o la sanità.
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I mestieri che i ticinesi non vogliono fare
Da una parte le continue polemiche contro i frontalieri. Dall'altra la cruda realtà: tra la popolazione locale mancano determinati profili. Soprattutto per settori come l’edilizia o la sanità.

LUGANO – Dal muratore all’operatore socio sanitario, passando per il cameriere e l’operaio di fabbrica. In Ticino a svolgere questo genere di professioni sono soprattutto stranieri, in particolare frontalieri. Furbizia da parte di aziende e datori di lavoro, che puntano al risparmio? Sarà. D’altra parte le cifre dicono che i frontalieri in Ticino sono oltre 40.000. Un numero elevato. Ma il problema è anche che i ticinesi certe professioni non le vogliono proprio fare. “È un po’ come se nel corso della storia fosse maturato un ‘effetto frontiera’ – spiega Sergio Montorfani, della sezione cantonale del lavoro –. Nei ticinesi si è, inconsciamente, sviluppata l’idea che certi lavori li fanno, o li devono fare, gli altri. In altri cantoni, che non sono di frontiera, questo fenomeno infatti è molto meno presente”.

Dignità perduta – Negli ultimi 15 anni in Ticino le opportunità formative si sono moltiplicate. Oggi, con USI e SUPSI, chiunque ha la possibilità di conseguire una formazione di livello terziario. Anche chi parte dall’apprendistato. Il fatto che le autorità abbiano spinto, e spingano tuttora, i giovani verso le formazioni universitarie o legate a un contesto di carriera probabilmente ha contribuito ad alimentare il disinteresse nei confronti di altri settori. “Ma non bisogna fare l’errore di parlare di mestieri di serie A e mestieri di serie B – dice Paolo Colombo, direttore della Divisione della formazione professionale –. Ogni professione ha la sua dignità. Il nostro sistema è particolarmente permeabile, le porte della formazione terziaria sono aperte a tutti. Ma questo non significa che le professioni più manuali abbiano perso di valore o di prestigio. Purtroppo non tutti i giovani se ne rendono conto”.

Sindrome da liceo - “In passato – aggiunge Rita Beltrami, direttrice dell’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale – la differenza tra chi poteva studiare e chi non poteva si faceva parecchio sentire. Consideriamo anche che nella nostra mentalità latina c’è la convinzione che una formazione di tipo liceale sia più pagante. Gli stessi genitori, in certi casi, spingono i figli verso il liceo per fare in modo che possano avere più opportunità rispetto a quelle avute da loro stessi. Per capire bene il fenomeno bisogna tenere conto di tutti questi fattori. Per quanto riguarda l’apprendistato io comunque non noto una fuga da determinati mestieri. Forse i problemi si verificano in seguito. Quando magari qualcuno cambia strada oppure decide di proseguire gli studi”. La sensazione comunque è che, di fronte ai reali bisogni del mondo del lavoro, in Ticino manchino determinati profili professionali. Da qui la necessità di rivolgersi al mercato d’oltre frontiera. “Probabilmente – sintetizza Beltrami – i nostri numeri, in determinati settori, non sono in grado di rispondere alle reali necessità del settore”.

Differenza di mentalità - Secondo alcuni esperti la tendenza da parte dei giovani è sempre più quella di calcolare il rapporto tra il salario e la fatica che si fa per guadagnarselo. Sergio Montorfani pone l’accento sulla differenza di mentalità tra il Ticino e la maggior parte dei cantoni della Svizzera interna. “Noi abbiamo il ‘problema’ della frontiera – puntualizza –. Di fatto si creano due mercati: uno per gli indigeni e uno per i frontalieri. Con queste premesse, per le professioni che non sono regolate da un contratto collettivo, è possibile che le aziende speculino sui frontalieri. Oltre San Gottardo, in molti casi non si verifica questa situazione. Perché non c’è la frontiera di mezzo. Forse anche per questo le professioni che in Ticino sono ritenute di secondo piano, in altri cantoni sono invece valorizzate e gettonate dai giovani del posto. Di conseguenza, il divario tra il salario di un banchiere e quello di un operaio di fabbrica non è così grande come da noi”.

Patrick Mancini

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