Il film di chiusura della 67esima edizione del Festival del film di Locarno
LOCARNO - Spettacolare, lirico, frenetico. A chiudere la 67esima edizione del Festival del Film questa sera in Piazza Grande a Locarno sarà “Geronimo” di Tony Gatlif.
Geronimo è un'educatrice che lavora nel quartiere di Saint-Pierre dove le tensioni sono all'ordine del giorno e l'equilibrio tra le diverse etnie continuamente minacciato. La situazione precipita quando un'adolescente di origine turca si sottrae a un matrimonio forzato per raggiungere il suo innamorato, un giovane gitano. La fuga inevitabilmente accende la miccia tra i due clan, pronti allo scontro. Geronimo farà di tutto per fermare la follia che incendia il quartiere.
Il film di Gatlif vuole essere soprattutto il ritratto di “una gioventù abbandonata – ha spiegato oggi in conferenza stampa il regista – Mi piaceva l'idea di fare un film sull'energia, quella dei giovani. Avevo un soggetto: una storia d'amore realmente accaduta, un matrimonio forzato e la fuga della promessa sposa, una fuga che implica un grande pericolo: quando lo fai sei cosciente che rischi la vita. Questo tipo di energia mi piaceva moltissimo. Un film è quello che si trasmette agli spettatori e cosa c'è di meglio dell'energia? “Geronimo” è un film sulla gioventù e sulla loro forza straordinaria, una gioventù oggi abbandonata dalle istituzioni”.
Il sentimento di pericolo e l'urgenza di agire sono assieme alla musica una colonna portante della storia dominata da un ritmo sostenuto e da una grande fretta: “bisogna fare presto e la velocità serve proprio a questo, a evitare che la scintilla faccia esplodere un dramma – continua Gatlif – È una corsa con il cronometro, una storia di vita o di morte. È come se qualcuno fosse sul davanzale della finestra: non puoi perdere tempo devi agire. Anche qui c'è qualcuno che deve essere aiutato rapidamente e a farlo è Geronimo con il suo sguardo e la sua umanità”.
Due occhi intensi, dietro ai quali si può vedere un sentimento del tutto femminile, curiosamente arrivato solo in un secondo tempo: “Non avevo pensato a una donna per questo ruolo – conclude infatti il cineasta – il soggetto l'ho pensato ispirandomi a diversi educatori che mi è capitato di consocere. Tutto prevedeva ci fosse un uomo, poi mi è passata la voglia di filmare. Non sono solo i soldi che ti spingono a girare un film, io li avevo trovati ma il personaggio non mi ispirava più. Ho ripreso il casting dopo un anno e ho incontrato Céline, venuta per un altro personaggio. Lei parlava e io la guardavo e di colpo sono stato folgorato. I suoi occhi... Attraverso gli occhi, come dicono i gipsy, si può vedere l'anima. Mentre parlava vedevo il personaggio cambiare, adattarsi a una parte femminile. È lei che mi ha dato la voglia di fare il film”.