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RACCONTI D'ESTATEÈ l'ora della merenda

24.07.12 - 12:30
di Marco Di Gioia
Keystone
È l'ora della merenda
di Marco Di Gioia

Le porte del treno si stanno aprendo. Sale della gente.

Appoggio le spalle aderenti allo schienale e risparmio preziosi millimetri per i miei nuovi compagni di viaggio che, guardandomi, reclamano spazio. I posti a sedere dell’altro complesso alla mia sinistra, vengono presi d’assalto dalle voci, dai sederi e dalle scarpe degli studenti di una scuola media, che ovviamente si impadroniscono anche dei posti rimasti vacanti, vicino e attorno a me.

Ho sopportato tutto questa mattina, ma non sarei mai arrivato ad immaginare una scolaresca in gita d’istruzione. Se qualcuno, in quest’istante dovesse guardarmi in faccia, credo che leggerebbe dieci fantastiche espressioni derivanti da turbe psichiche da urla inconsulte di bambini.

Sento solo vocali, vocali e ancora vocali. Chissà perché quando i ragazzini fanno chiasso sembra di sentire solo parole fatte da vocali e nient’altro. Il treno riparte con uno scossone, non curante di portare in grembo il seme della pazzia, io.

All’inizio non mi accorgo di essere fissato ininterrottamente da un bambino che potrebbe avere al massimo 13 anni, forse ripetente, mi sembra più grande degli altri; il classico bulletto mena tutti datemi rispetto altrimenti vi faccio le ossa, del gruppo. E allora non ci sto. Mi impunto, voglio che abbassi lo sguardo perché io sono più grande e lui mi deve portare il rispetto che ha dagli altri mocciosi. Deve abbassare lo sguardo e farmi capire che per lui sono io il più forte.

 Questo piccolo stronzetto non cede, ha raccolto la sfida, ma deve al più presto abbassare lo sguardo; dai forza, su cosa aspetti piccolo degenerato, pensi che io sia solo uno dei tuoi schiavetti che ti consegna la merendina all’intervallo? Che ti faccia i compiti a casa perché tu sei incapace e stupido? Che cosa fai? Anche io ho i miei amichetti qui a scuola, mi hanno giurato fedeltà e sono pronti a venire in guerra con me, sì, la tua combriccola di sfigati contro la mia squadra: io, Sam, Junior e Narcos. Ogni giorno all’intervallo mangiamo le merendine degli altri, basta solo aspettare che le comprino dalle macchinette con i soldini che mammina  dà loro ogni mattina, per poi farcele consegnare senza fiatare; e quando suona la campanella, siamo sempre gli ultimi a rientrare in classe perché noi possiamo farlo e la professoressa non ci dice niente, ha paura, ha paura che le distruggiamo l’auto o ancora la scippiamo fuori da scuola. E tu cosa fai invece? Ti ho visto fuori, alla fine delle lezioni, ti fai venire a prendere da mamma e papino, hai paura di andare a casa tutto solo e soletto? Vero? Il pupetto non può prendere l’autobus perché ha paura di perdersi…

E va bene stammi a sentire, abbiamo sempre segnato il territorio, quello sotto la mia giurisdizione e la tua stramaledetta area, adesso è arrivato il momento di cambiare le regole. Lo sapevo sei un codardo hai abbassato lo sguardo, perché sei un cacasotto!

“Signorino, la mia lezione di matematica ti fa dormire” dice l’insegnante.

“Mi scusi…” risponde un alunno.

Sono convinto che alle volte ti accadono delle cose che dimentichi perché non hai piacere a ricordarle e quindi, non esercitando la memoria te le scordi, convincendoti che non sono mai esistite; altre volte invece te le ricordi, ma in realtà le hai solo sognate. Il problema è capire cosa hai vissuto veramente e cosa ti sei inventato dormendo, ora però io non capisco.

Suona la campanella, è l’ora della merenda…

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