Leggi sulla privacy e porte sbattute in faccia: il servizio di Chi l’ha visto su Stabio ha infiammato le discussioni in rete
STABIO - Professionale e al contempo popolana, è Federica Sciarelli. Lirico, navigato e profondo, è Gianloreto Carbone. Bastano i loro nomi per spiegare l’inarrivabile successo di Chi l’ha visto, il programma dedicato agli scomparsi di Rai 3. Un format deflagrato anche grazie al web: sono nati i gruppi, sono nati i fan. Insomma, un vero #chilhavister lo fa solo commentando su Twitter. E, da quando il caso Arcudi è stato ghermito dalla Sciarelli, anche il piccolo comune di Stabio è finito nell’agenda dei telespettatori del mercoledì sera.
La porta in faccia - Ieri sera, per la terza volta, il reporter Dean Buletti ha battuto il Ticino per raccontare l’omicidio della maestra 35enne. Ha bussato ai vicini, ha incontrato il falegname, è andato alla Supsi. Ma, avvezzo alla loquacità italiana, si è scontrato con leggi e usanze del luogo. In Svizzera le indagini sono coperte (per non dire blindate) dal segreto istruttorio e in pochi si prestano a 15 secondi di popolarità. Sono bastate due porte sbattute in faccia a Buletti e il tormentone è partito: «Quella che in Sicilia chiamano omertà, in Ticino è discrezione», twitta uno. «Libertà di stampa come quella nordcoreana», rimbalza l’altro. «Svizzera is the new Sicilia» diventa il motto.
È la legge - Che succede? Si chiede il cronista. È la legge, il nuovo codice di procedura penale permette ai giornalisti svizzeri di fare i nomi di vittime e imputati solo in rarissimi casi. A spiegarglielo è Francesco Lepori, volto e voce della cronaca giudiziaria Rsi. E sta qui l’inghippo: quella che in Ticino chiamamiamo e trattiamo come cronaca giudiziaria, in Italia viene chiamata cronaca nera e spesso al reporter viene chiesto di sostituirsi agli inquirenti. Perché se a Chi l’ha visto il giustizialismo a volte incontra qualche pudico confine, in altre trasmissioni deborda e degli inquirenti non c’è più necessità. Infatti su Twitter il parallelo è immediato: «Un cronista svizzero non può sentire nomi, citare strade, ascoltare parenti. La D’Urso in Svizzera avrebbe fatto la cassiera». E ancora: «In Svizzera la D’Urso farebbe la fame».
Siamo in pochi - La legge che imbavaglia la cronaca nostrana è spesso criticata dagli stessi giornalisti. E dai lettori. Quante volte, di fronte per esempio a casi di pedofilia o cronaca nera, ci avete scritto e chiamato chiedendo di fare i nomi. Ma ecco che un medesimo episodio trattato contemporaneamente in casa nostra e in Italia rende queste differenze ancora più palesi. Il Ticino è un cantuccio in cui tutti si conoscono e ogni giornalista che sta trattando il caso è legato in qualche modo a Nadia Arcudi o al presunto omicida. C’è l’amico dell’amico, il compagno di scuola, l’incontro in settimana bianca. Scrivendo non scorda mai che, forse, un articolo sarà letto anche dalla mamma di Nadia, dalla sorella, dal fidanzato. Ancora peggio quando a essere coinvolti sono i bambini e basta un inciampo del giornalista per far riconoscere una vittima all’intero paese.
Sessanta milioni - In Italia, invece, si sfiorano i sessanta milioni di persone e le sensibilità si fanno del tutto diverse con la stampa che ci va a nozze. Un circolo vizioso che ha portato anche a situazioni a dir poco grottesche. Indimenticabili, per esempio, le assassine di Sarah Scazzi che, proprio a Chi l’ha visto, ne imploravano il ritorno. Ecco quindi che sui social, questa sproporzione viene sottolineata: «In Italia accetta di essere intervistato pure il vicino di casa del collega della cugina del nonno della vittima». Oppure un altro: «Ma se in Svizzera sono riservati, perchè l'assassino ha gettato il corpo in Italia dove tutti parlano e tutti vedono?». E lo scarto si fa ancor più profondo se il confronto è più locale: «Se invece che in Svizzera erano a Napoli, c’era già il paese intero in piazza con la banda e le donne ciccione ingioiellate».
I #chilhavisters - Una distanza maggiore che si traduce anche in satira. È infatti l’umorismo una delle caratteristiche essenziali dei #chilhavister. Autoironia e humor nero che si combinano in un movimento sdrammatizzante e catartico. Ecco quindi innumerevoli battute sul caso, che non riteniamo di ripetere qua. E qualche consiglio scanzonato all’inviato in Ticino Dean Buletti: «Se si fosse travestito da testimone di Geova l’avrebbero trattato meglio».