Il 90% compra, ma neanche il 6% delle aziende ha uno shop su internet, «in Ticino anche meno. Dov'è la formazione? Dove sono le istituzioni? Così perdiamo un mercato 50 volte più grande»
LUGANO - Un nuovo incremento del 6%: pare proprio che i consumatori svizzeri, già leader in Europa nell'e-commerce, non vogliano smettere di crescere. Ormai il 90% di chi naviga sul web compra online, circa 4,8 milioni di persone secondo i dati che NetComm Suisse si appresta a pubblicare oggi. La nicchia è da tempo abbandonata, lo shopping virtuale ha un ruolo da protagonista negli acquisti elvetici, ma «sia la domanda sia i consumi continuano a salire». Eppure è un altro, oggi, il dato su cui oggi soffermarsi, e davvero poco lusinghiero: neanche il 6% delle aziende elvetiche è attrezzato per vendere online. «E in Ticino la percentuale è ancora più bassa».
Il prezzo anzitutto: lo confrontiamo mentre ancora siamo in negozio - Come questo si traduca, è scontato: compriamo all'estero, non per scelta ma in primis perché qui un'offerta adeguata non esiste. È vero che, ammette il direttore di Netcomm Suisse Carlo Terreni, se anche la proposta si allargasse, non necessariamente i flussi si sposterebbero da oltreconfine verso la Svizzera, visto che «le ragioni principali per cui si compra fuori sono il desiderio di un prezzo migliore» e non a caso «la linea tra store fisico e online è sempre più sfocata: 1,6 milioni di persone confrontano i prezzi con lo smartphone addirittura mentre si trovano in negozio».
Compriamo tanta moda, ma spendiamo di più per i viaggi - Il secondo motivo, però, è la «migliore disponibilità di prodotti». Moda innanzitutto, che si prende il 60% degli e-shoppers per una spesa procapite di 654 franchi; seguono trasporti e vacanze, 1'911 franchi. Popolari anche libri e tecnologia, così come prodotti di bellezza, 26%. Quanto a importi, vengono però superati da casalinghi (674 franchi) e cibo e bevande (628 franchi).
Acquistiamo su siti tedeschi, francesi, cinesi - Cercati all'estero, un po' con la complicità del cambio, un po' per la colpevole penuria elvetica, che ormai ha convinto la gente a non guardarsi neanche più intorno e in casa, ma a rivolgersi direttamente a siti stranieri. Così si compra per lo più, nell'ordine, dai retailer online della Germania, della Francia, della Cina.
Ma loro vorrebbero acquistare da noi - Se non vuol essere un rimprovero, certo dev'essere una sfida per le aziende elvetiche, chiamate a rimboccarsi le maniche per sfruttare un potenziale enorme. Non solo in patria, dove si tratta di recuperarlo e dirottarlo verso se stessi, ma nel mondo, dove la voglia e la domanda c'è ed è grande. Il cosiddetto Swiss factor, che si consolida grazie all'ottima reputazione per «qualità, sicurezza nelle transazioni e fiducia nel sistema bancario, tempi veloci di consegna», fa sì che il «25% dei tedeschi comprerebbe da uno shop online con base in Svizzera, il 24% di italiani e il 23% di spagnoli». E le percentuali salgono fuori dal continente: 34% a New York, 33% a Shangai, 28% a Mosca e San Pietroburgo, per un totale di 36,5 milioni di acquirenti potenziali in Europa e 235 milioni nel mondo, idealmente pari a «un mercato 50 volte grande quello domestico attuale».
Tante start-up, ma l'ecommerce resta un mistero - Un'opportunità da raccogliere in fretta, se non si vuole essere tagliati fuori. Ticino particolarmente a rischio, poiché ancora più indietro di altre regioni. «Seppur vi sia gran dinamismo a livello di start-up, le imprese faticano a capire l'ecommerce - riflette Terreni - È un problema che non riguarda solo i piccoli: coinvolge anche le grosse aziende».
Google in Ticino a insegnarci come fare: «Che vergogna» - Chi è causa del suo mal pianga se stesso? Può essere, ma la colpa non è tanto degli imprenditori, conclude e accusa Terreni, quanto di «istituzioni, università, Cantone, che non fanno abbastanza nell'ambito della formazione. È ora che si sveglino: si parla tanto di disoccupzione, ma la verità è che abbiamo la possibilità di far lavorare i giovani e non la cogliamo. Non può essere e non sarà Google a risolvere la situazione e il problema della mancanza di competenza digitale. Il fatto che martedì sarà a Manno a offrire una giornata di formazione alle imprese locali non è un successo, ma una vergogna. È la riprova di un vuoto cosmico nella formazione digitale».