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LUGANO"È dura riabituarsi alla vita in Ticino!"

21.04.13 - 11:05
Sei mesi in viaggio dal Ticino in Sudamerica su un pickup-camper. Francesco e Barbara si raccontano e fanno i conti con il ritorno
Foto Barbara e Francesco
"È dura riabituarsi alla vita in Ticino!"
Sei mesi in viaggio dal Ticino in Sudamerica su un pickup-camper. Francesco e Barbara si raccontano e fanno i conti con il ritorno

LUGANO - “È dura riabituarsi alla vita in Ticino. Cambia davvero tanto, eppure sei mesi fa eravamo qui a vivere e lavorare. Lì si viveva tra di loro e con loro, ci siamo trovati benissimo. Dopo sei mesi adesso dobbiamo riabituarci per forza”.

Francesco e Barbara sono due ragazzi ticinesi tornati da circa tre settimane in Ticino, dopo sei mesi trascorsi in Sudamerica. A bordo di un camper, estremamente particolare, hanno conosciuto soprattutto il popolo argentino ma hanno attraversato anche Cile, Perù e Bolivia. In viaggio tra paesaggi estremi hanno visto (in pochi giorni) i ghiacciai tra i più belli al mondo, il deserto di Atacama, il più arido sul globo terrestre, passando dal colore del deserto, a quello dei minerali, dei laghi, delle pianure. Sono rimasti esterrefatti dai paesaggi meravigliosi della Bolivia, dal lago salato più grande del mondo, dalla gente del posto e dai tanti compagni di viaggio che hanno conosciuto. Mondi nuovi e diversi che hanno lasciato il segno.

 

Il ritorno - Barbara, capelli corti e sguardo ancora confuso, è netta: “Un’esperienza che segna. Prima di partire pensavo ‘ dopo sei mesi torno e sono quella di prima, non cambierà nulla, farò una bella esperienza che mi arricchisce ma non potrà influire nella mia vita’. Invece adesso ho capito che questa esperienza mi ha cambiato, faccio fatica a entrare nei ritmi e nella mentalità della gente ticinese, che era la mia fino a sei mesi fa. Mi accorgo di alcune cose che qui sono normali e che facevo anche io, ma che non riesco più ad accettare facilmente”. Lei è fisioterapista, ha ottenuto un congedo non pagato per poter partire: “Sapere di andare per poi tornare e avere ancora un lavoro, era fondamentale. Se non mi avessero dato il congedo probabilmente non sarei partita”. Più semplice per Francesco, che con il suo cappello verde boliviano è ancora immerso nel mondo che ha appena lasciato. Per lui, veterinario, senza un posto fisso ma con diversi datori di lavoro con cui lavorava a percentuale, è stato più semplice partire, anche perché nel corso del suo viaggio, ha lavorato con alcuni veterinari del posto in modo da fare un’esperienza diversa. “Ho lavorato gratuitamente ma non son andato per questo, piuttosto per conoscere diverse realtà del mio lavoro. Fondamentalmente è stato un viaggio, abbiamo fatto 30’000 chilometri. Per me l’importante era partire, andare e vedere. Probabilmente se Barbara avesse mollato tutto, a questo punto saremmo ancora là”.

 

Barbara conferma, dopo sei mesi è cambiato il suo approccio alla vita: “Adesso non avrei paura di partire senza avere la sicurezza del lavoro una volta tornata. Ti rendi conto che è un’esperienza che ti arricchisce, che la fanno in tanti e che torni con un’altra visione della vita, del lavoro, dei valori. Se hai voglia di lavorare, un lavoro lo trovi, magari non il posto sicuro che avevi prima ma qualcos’altro”. E Francesco aggiunge: “Il Ticino non ci mancava, a parte la famiglia e gli amici. Onestamente non lo pensavo, sono nato qui, cresciuto qui. Studiando fuori ho voluto a tutti i costi tornare nella mia terra, sono ticinese, quindi ho pensato che stando lontano per sei mesi, il Ticino mi sarebbe mancato, ma non è accaduto”.

 

Il viaggio e il camper - L’idea di fare un viaggio di sei mesi nasce due anni fa, dopo un precedente “classico” viaggio fatto in Argentina per tre settimane. Francesco e Barbara si sono innamorati della gente, della cultura e del modo di vivere. Hanno organizzato il nuovo viaggio in un anno circa, hanno incontrato persone che erano già stati in Sudamerica e poi scelto il mezzo con cui andare. “Una scelta importante. Le strade laggiù sono molto brutte, per cui è necessario un mezzo che vada tranquillamente fuoristrada. Quatto anni fa abbiamo visto in Islanda questo pickup con una cellula sopra, costruito da una famiglia di Milano. Da loro abbiamo avuto la possibilità di comprarne uno di occasione e lo abbiamo portato in Sudamerica. Con una spesa contenuta avevamo l’auto e la casa per dormire, cucinare. Per sostare nelle città è consigliabile farlo nei campeggi sorvegliati, ma fuori città siamo stati in posti meravigliosi, da soli, potevamo svegliarci all’alba in posti unici. Nel camper c’è tutto, una piccola cucina, frigo, bagno, doccia, riscaldamento, letto e pannello solare, con cui c’è autonomia di parecchi giorni. Da 42 gradi sopra zero ai 17 sotto zero, vivevamo nel camper in condizioni disparate. Quel camper, gli amici di Milano lo hanno studiato molto bene, è stata un’ottima soluzione”.

Durante il viaggio nasce anche il blog http://elmilodontrotamundo.weebly.com/ un canale aperto con amici e parenti, per mostrare le mete raggiunte e le foto scattate ma anche un modo per comunicare con gli altri viaggiatori, tanti, spesso sconosciuti ma in sintonia con la propria esperienza. Uno scambio di informazioni prezioso all’interno di una vera comunità del viaggio.

 

Sensazioni e differenze – E poi ci sono le differenze: “Nel momento in cui abbiamo descritto ad amici e parenti l’intenzione di vivere nel nostro camper in Sudamerca, tutti ci dicevano ‘ma siete pazzi, vi uccidono, vi derubano, vi spaccano l’auto’. In realtà – continua Francesco - in sei mesi non è successo nulla, neanche il sentore che qualcosa potesse accadere, abbiamo sempre incontrato persone che ci hanno aiutato in tutti i modi, che non avevano poco, ma erano disposti a condividerlo con te, perché è il loro modo di essere, mentre nei sei mesi in cui eravamo via, qui in Ticino, nella tranquilla e sicura Svizzera, ci sono entrati i ladri in casa. La paura di un mondo diverso è solo un’idea diffusa, che c’è perché non si conosce l’altra cultura. Certo abbiamo preparato bene il viaggio, abbiamo evitato i punti critici e le grandi città”.

 

Francesca e Barbara sono entusiasti di quello che hanno visto e conosciuto. “Le persone sono molte diverse, sono molto aperte, disponibili, c’è talmente tanta distanza fisica tra loro che quando si ritrovano, sono molto aperti. Tantissime volte dei perfetti sconosciuti ci hanno offerto la cena, la loro tenda o un mate che per loro è un rito. Qui sarebbe inimmaginabile. Hanno poi la curiosità e il piacere di conoscere l’altro, non solo nei posti deserti ma anche nelle città. Da noi in Ticino, facciamo più fatica per parlare o conoscere qualcuno, nessuno considera l’altro e non è questione di essere introverso o meno. È un muro contro muro”. Ma riportare o rivivere in Ticino alcuni modi di fare vissuti laggiù è difficile. Francesco conferma: “Ci sono tante cose buone che abbiamo visto, ma è difficile riportarle qui, perché tu puoi cercare in tutti i modi di rifarti a quel modo di vivere, ma non dipende solo da te. Dopo qualche mese vieni riassorbito dalle cose che ti stanno attorno. Penso sia normale. Per chi è rimasto in Ticino, sono trascorsi sei mesi di routine in cui non è cambiato nulla, mentre per noi è cambiato molto”.

 

E adesso? – La domanda è d’obbligo. Francesco e Barbara si abitueranno di nuovo al Ticino, cosa pensano di fare, tornare in Sudamerica? “In realtà se uno ha voglia di lavorare – dicono - laggiù trova il lavoro, al di fuori delle grandi città c’è veramente tutto da fare. La vita è diversa, i tempi sono molto meno stressanti, in un certo senso sarebbe meglio. Quello che ci frena è la situazione politico-economica che è complicatissima, c’è tanta corruzione e difficoltà burocratiche”. E allora la soluzione qual è? “È quella che dobbiamo trovare –spiega Barbara. Adesso sta a noi ed è la parte più difficile”. “Scartata l’idea di andare giù – chiude Francesco - bisogna trovare un equilibrio tra la nostra vita qui e nuovi momenti da vivere in Sudamerica. Siamo fiduciosi di poter trovare la nostra strada”.

 

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