Ecco come si è arrivati a questo punto

Cebi di Stabio: dai circa 700 dipendenti nel 2013 ai 260 attuali. Dietro le quinte del "crollo" di un'azienda che era un fiore all'occhiello dell'economia ticinese.
Cebi di Stabio: dai circa 700 dipendenti nel 2013 ai 260 attuali. Dietro le quinte del "crollo" di un'azienda che era un fiore all'occhiello dell'economia ticinese.
STABIO - A lungo è stata un fiore all’occhiello dell’economia della Svizzera italiana. Tra le primissime aziende al mondo a produrre veicoli elettrici e celle a combustibile a idrogeno. Viene spontaneo chiedersi come mai la CEBI di Stabio, recentemente balzata agli onori delle cronache per una ventina di tagli al personale, si sia ridotta così. Nel 2013 i dipendenti erano circa 700. A breve, come anticipato da tio.ch, scenderanno a 260. E potrebbero esserci ulteriori tagli in futuro.
Il punto di rottura – Nenad Jovanovic, sindacalista e coordinatore cantonale OCST per il settore dell'industria, ha seguito il caso della CEBI per anni. «Il vero punto di rottura è stato quando la CEBI ha disdetto il contratto collettivo con i sindacati storici attorno al 2013. Da quel momento le condizioni dei dipendenti sono notevolmente peggiorate. Successivamente, l’azienda è finita anche al centro della polemica per il salario minimo, cercando di eludere la legge sottoscrivendo un accordo con TiSin».
Le scelte – Da quel momento ecco una serie di scelte che non sembrano essersi rivelate vincenti. La prima: quella di delocalizzare alcuni macchinari e parte della produzione nell’Europa dell’est. «L’intenzione – dice Jovanovic – probabilmente era quella di risparmiare sulla manodopera e sulla produzione».
«Decisione necessaria» – Fabio Venturini, direttore della CEBI di Stabio, evidenzia: «Si sbaglia a pensare che questa sia un'azienda singola, ticinese e basta. Siamo all'interno di un gruppo internazionale con varie sedi produttive in tutto il mondo. Delocalizzare parte dei macchinari di Stabio a un certo punto è stato necessario per reggere le esigenze di mercato. Non siamo solo nell'Europa dell'est, bensì anche in Spagna, in Brasile, in Italia. In alcuni casi nemmeno la delocalizzazione è servita. Tanto è vero che abbiamo avuto delle interruzioni di produzione di determinati oggetti perché non si poteva più competere con l'Asia».
Teste che saltano – Spunta poi quella che da alcuni viene ritenuta un'altra mossa azzardata. Il personale residente e con esperienza sarebbe stato gradualmente sostituito da frontalieri. Non solo. A cadenze più o meno regolari sarebbero saltate delle teste. Tanto che all’interno dell’azienda si sarebbe instaurato un vero e proprio clima di preoccupazione costante.
«Siamo vicini al confine...» – «Noi – riprende Venturini – quando cerchiamo un collaboratore pubblichiamo un'inserzione. È uguale chi arriva. Non facciamo discriminazioni. Guardiamo le competenze della persona. È chiaro che gli accordi si fanno in due. Siamo vicini al confine. Posso dire che la maggior parte dei nostri collaboratori viene dall'Italia, gli svizzeri e i residenti sono pochi in questa azienda. Licenziamenti nel corso degli anni? Si torna a parlare del contesto internazionale della CEBI. E a quel punto si capisce».
I dubbi – Sul caso della CEBI (che fino al 2015 si chiamava MES, acronimo di Micro motori elettrici svizzera) attualmente pende un’interpellanza al Governo ticinese firmata dai deputati e sindacalisti Evaristo Roncelli e Claudio Isabella. Ci si chiede se la CEBI non abbia beneficiato in passato di aiuti per il lavoro ridotto per poi ugualmente delocalizzare. Ci si domanda anche se quello in corso non sia un licenziamento a tappe per aggirare l’onta del licenziamento collettivo.
«Minimo salariale dopo decenni» – «Se tu cerchi sempre di peggiorare le condizioni di lavoro dei dipendenti sul lungo periodo la situazione ti si ritorce contro – commenta Jovanovic –. È chiaro che a un certo punto iniziano a esserci assenteismo e mancanza di produttività. Stiamo parlando di lavoratori con decenni di esperienza e che, probabilmente, si ritrovano ancora al minimo salariale».
«Non siamo fuorilegge» – Venturini non ci sta: «Noi applichiamo il minimo salariale, seguiamo le regole. Ma non è che tutti sono al minimo. Non siamo fuorilegge. Noto tanto accanimento in Ticino verso la CEBI. È una realtà che andrebbe maggiormente sostenuta».






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