La Camera di commercio contro Unia: «Chiudere tutto sarebbe sproporzionato». E solleva dubbi sulle attuali misure
Cc-Ti e associazioni di categoria: «Abbiamo dimostrato che non ci si contagia sul posto di lavoro».
LUGANO - «Non è sul posto di lavoro che avvengono principalmente i contagi». Ne è convinta la Camera di Commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti) che prende oggi posizione nei confronti dell'appello al lockdown diffuso ieri dal sindacato Unia. «La soluzione non è fermare l'attività di tutte le aziende», scrive la Cc-Ti sostenuta da Associazione Bancaria Ticinese (ABT), Associazione Industrie Ticinesi (AITI), Società Svizzera Impresari Costruttori (SSIC-TI) e Unione Associazioni Edilizia (UAE).
Unia Ticino e Moesa chiede alle autorità cantonali «di agire ora con decisione e fermezza» chiudendo «tutte le attività economiche non essenziali» per «limitare in modo decisivo la circolazione delle persone e quindi del virus». Un secondo lockdown, quindi, ma accompagnato da «aiuti economici, che siano chiaramente definiti e rapidamente disponibili».
Una misura che la Camera di Commercio e le associazioni ritengono «sproporzionata» e pericolosa per i «pesanti e preoccupanti effetti collaterali alla nostra economia e ai posti di lavoro». Le aziende rispettano piani puntuali di protezione differenziati per settore. Inoltre, «per ogni lavoratore e lavoratrice, come per ogni imprenditore, la propria attività è certamente indispensabile».
La Cc-Ti, infine, solleva qualche dubbio sulle misure attualmente in atto (chiusura di bar, ristoranti, strutture per il tempo libero e lo sport): «Nonostante le parziali e settoriali misure di chiusura ormai già in vigore da settimane, non si notano purtroppo effetti rilevanti sulla curva dei contagi».