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CANTONECol velo ai centri commerciali: «Il divieto andrebbe rispettato»

28.07.17 - 07:04
Così la pensano l'imprenditore Silvio Tarchini e il teologo Silvio Ferrari. Il primo: «Mi fa effetto vedere certe immagini». Il secondo: «Ma questo è il futuro...»
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Col velo ai centri commerciali: «Il divieto andrebbe rispettato»
Così la pensano l'imprenditore Silvio Tarchini e il teologo Silvio Ferrari. Il primo: «Mi fa effetto vedere certe immagini». Il secondo: «Ma questo è il futuro...»

MENDRISIO – Un gruppo di turiste col volto coperto intente a fare shopping. L'immagine è stata scattata di recente al centro commerciale FoxTown di Mendrisio. E non si tratta di un caso isolato. In un altro centro commerciale un'altra donna è stata fotografata mentre indossava il burqa. Alla faccia del divieto cantonale imposto dopo il voto del 22 settembre 2013. Istantanee che puntualmente fanno scoppiare l'indignazione sui social network, dove c'è chi puntualizza anche su un altro trend: sempre più musulmani vengono infatti immortalati mentre pregano su suolo pubblico.

Scritto nella costituzione – Come bisogna porsi di fronte a simili episodi? Stupore e perplessità sono giustificati? Oppure, occorre avere un atteggiamento di maggiore tolleranza? Il divieto di dissimulare il volto è iscritto nella costituzione ticinese. Le multe variano da un minimo di cento a un massimo di diecimila franchi. Alcune donne sono state effettivamente sanzionate da quando la legge è entrata in vigore, circa un anno fa. Eppure c'è chi non se ne preoccupa. «A me fa un po' effetto vedere certe immagini – evidenzia l'imprenditore Silvio Tarchini, patron di FoxTown – esiste una legge che vieta di portare il velo. Andrebbe rispettata. Quando ci capita di notare situazioni simili all'interno del nostro centro, noi comunque non ci attiviamo. Non spetta a noi fare rispettare le regole. Però se qualche cliente si sente infastidito, può chiamare la polizia. In un paio di occasioni è capitato».

Accettare il diverso – Silvio Ferrari, professore ordinario di diritto canonico all'Università degli Studi di Milano e di diritto comparato delle religioni alla Facoltà di Teologia di Lugano, analizza la questione da un'altra angolatura. «In uno stato democratico le leggi vanno rispettate, questo è chiaro. Dobbiamo, però, renderci conto che, al di là del discorso sul burqa e sul niqab, siamo in ritardo sulla capacità di accettare il diverso, in generale. Dobbiamo abituarci già sin d'ora all'idea di vedere un musulmano che prega in un giardino pubblico. Non possiamo fuggire da questa realtà».

Manca reciprocità – La parola torna a Tarchini, un uomo che ha girato il mondo. E che ha una visione del fenomeno a 360 gradi. «Per me i Paesi arabi sono troppo estremisti su certe cose, in particolare per quanto riguarda il rispetto della donna. Criticare queste persone, da un punto di vista imprenditoriale, è rischioso. Potrebbero decidere di non venire più in Ticino, di fare le vacanze altrove. È anche vero che se noi visitiamo un paese arabo dobbiamo sottostare alle regole del posto. C'è una grossa mancanza di reciprocità».

La capacità di valutare – «Questo è lampante – gli fa eco Ferrari – basti pensare che una donna svizzera cristiana, se va in Arabia Saudita, non può guidare l'auto. È proibito. Così come, nella stessa nazione, c'è il divieto di costruire edifici di culto cristiani. Mentre da noi c'è apertura verso le moschee. Bisogna, tuttavia, capire quando è il caso di fare osservazioni e quando no. Ad esempio trovo che la polemica sul burkini, scoppiata qualche tempo fa in Francia, sia senza senso. Se una donna vuole fare il bagno con un vestito addosso, non fa del male a nessuno. Se usiamo il criterio della reciprocità per negare libertà legittime, inizia una corsa al ribasso. E così non si costruisce nulla».

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