Scarseggiano i medici di famiglia? Matteo Dell'Era, 36 anni, ha scelto di farlo in Leventina: «Per strada ci si saluta ancora tutti».
Ma c'è anche un altro lato della medaglia, comune tra tutti gli esponenti della categoria: «La pressione burocratica ci fa perdere tanto tempo. Spesso è inutile e pesante».
AIROLO - È sempre più allarme medici di famiglia. In Svizzera ne mancherebbero circa 4'000. La professione ha perso attrattività. Soprattutto nelle periferie. Ma ci sono anche esempi in controtendenza. È il caso di Matteo Dell'Era, 36 anni, di Lugano. Lui ha scelto di fare il medico di famiglia in una zona di montagna. Ad Airolo, in Leventina. A tio.ch racconta le sue gratificazioni. E anche qualche grattacapo.
Perché hai scelto di fare il medico di famiglia?
«È un mestiere che ti offre la possibilità di vivere la medicina a 360 gradi. In tutte le sfumature. Si incontra dal bambino all'anziano. Si passa dal suturare una piccola ferita al seguire il paziente internistico più complesso. La medicina è vista in modo globale. Interessante».
Essere medico di famiglia ad Airolo non è come esserlo a Lugano o in un'altra area urbana.
«Il tipo di territorio fa cambiare anche il tipo di medicina. Sicuramente. Prima di portare il paziente all'ospedale di Bellinzona, ad esempio, cerco di tenerlo il più possibile a domicilio. Questo da una parte permette di non sovraccaricare gli ospedali. Dall'altra di lasciare il paziente in un ambiente che conosce».
Perché proprio Airolo?
«Sono un amante della montagna. E quindi questo mi ha facilitato. Nel mio habitat ideale le montagne ci devono essere. Qualche tempo fa avevo avuto un'ottima esperienza lavorativa presso lo studio del dottor Fransioli, proprio ad Airolo. Poi a un certo punto lui è andato in pensione e nella zona è venuto a mancare un medico di famiglia di riferimento».
Hai preso la palla al balzo?
«Fransioli mi piaceva per come lavorava. Aveva il modo di fare tipico dei medici di montagna. Dopo quell'esperienza io mi sono detto che volevo essere come lui».
Cosa significa essere un giovane medico di periferia?
«Conosci la gente e cresci assieme alla popolazione che curi. Quando si esce per strada ci si saluta tutti. Come una volta. Si ha bisogno l'uno dell'altro. Io sono "il signor dottore". Ma ad Airolo è bellissimo perché ci sono ancora anche "il signor maestro", "il signor prete". È un onore».
Quella del medico di famiglia è una professione passata in secondo piano. Cosa ne pensi?
«La professione ti dà grandissime soddisfazioni. Sei presente e ti senti utile. Però ci sono anche frustrazioni e difficoltà. La pressione burocratica ci fa perdere tanto tempo. Spesso è inutile e pesante. Questo problema riguarda un po' tutti gli esponenti della nostra categoria».