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COMANO«Così mio marito è stato distrutto a poco a poco»

19.04.16 - 09:00
Il dramma vissuto da Paola Zuppiger in un libro di oltre 800 pagine: «Ho scritto “Fallimento terapeutico” affinché simili orrori non accadano più»
tio.ch
«Così mio marito è stato distrutto a poco a poco»
Il dramma vissuto da Paola Zuppiger in un libro di oltre 800 pagine: «Ho scritto “Fallimento terapeutico” affinché simili orrori non accadano più»

COMANO - Un tumore benigno della pelle su un braccio si trasforma in un calvario. Un incubo lungo 1'235 giorni di sofferenza, 675 giorni d’ospedale, 500 in terapia intensiva. E conclusosi con una morte evitabile. È una storia terribile quella racchiusa nelle 816 pagine di “Fallimento terapeutico” (Capelli Editore). Un dramma vissuto in prima persona da Paola Zuppiger di Comano, che ha visto suo marito morire in un reparto di cure intensive, dopo un’infinità di leggerezze mediche e infermieristiche. «Ho scritto questo libro - spiega - affinché simili orrori non accadano più». 

Errore omeopatico – Un libro choc. Denso di dettagli raccapriccianti sulla sanità della Svizzera italiana, e non solo. «Non ho voluto citare né nomi, né luoghi, né date. Ho solo raccontato i fatti. Mio marito Gustavo è morto e nessuno me lo restituirà». Tutto inizia da alcuni basaliomi, a crescita lenta, che non fanno metastasi. «Mio marito si affida a un medico FMH e omeopata, che dopo avere visto le lesioni ci comunica di poterle curare tramite l’omeopatia. La terapia consiste nella presa di tre granuli omeopatici mensili per tre mesi». 

L’inizio dell’incubo - Gradualmente la pelle del corpo di Gustavo si ricopre di piaghe aperte. «E il medico omeopata ci dice: “Ho sbagliato e non so cosa fare”. Una reazione imprevista che causa a mio marito anche acqua nella pleura». Si va all’ospedale. Bisogna togliere quell’acqua. «Il medico punge il torace di Gustavo che improvvisamente perde conoscenza. Lo portano dapprima nel reparto di cure intensive, dove lo intubano, poi lo trasferiscono in reparto». 

Sedativi pericolosi - Nei giorni successivi, Paola trova Gustavo seduto di traverso sulla sedia, assente, con una strana paura addosso e tremiti alle mani. Fatica anche a respirare. «Un infermiere mi spiega che mio marito ha iniziato una terapia con un ansiolitico. Intanto un medico ordina di interrompere immediatamente la somministrazione farmaco. Si scopre che Gustavo è intollerante alle benzodiazepine e ai sedativi. Trasferiscono mio marito in un altro reparto di cure intensive. E sulla lettera di dimissioni viene scritto chiaramente che mio marito non sopporta queste sostanze». 

Impotenza - Ma la direttiva non viene rispettata, si continua a somministrare sedativi a Gustavo. «Mi sentivo impotente. Continuavo a dire ai medici e agli infermieri che mio marito non poteva prendere quei medicamenti. Invano. Non mi ascoltavano. Anche la mia costante presenza accanto a mio marito dava fastidio». 

Via dal Ticino - Dopo sei mesi, arriva una nuova imposizione. Si vuole trasferire Gustavo oltre San Gottardo. Ma senza spiegarne il motivo. «Mio marito vuole rimanere in Ticino, è un suo diritto. Ma per tenerlo nella Svizzera italiana, devo firmare una lettera in cui si dice che il personale del nuovo reparto di cure intensive è disposto ad accettare mio marito solo a certe condizioni. Una di queste è la più orribile: posso visitare mio marito solo per un’ora al giorno e in orari stabiliti. Sul momento dobbiamo forzatamente accettare. Poi, però, decidiamo di andare oltralpe». 

Il peso della croce - Cinque ospedali diversi. Due anni e mezzo con una croce pesante sulle spalle. In coda al libro, Paola elenca per filo e per segno ogni singolo farmaco somministrato al marito durante il suo calvario. «Dal secondo ospedale in poi, non capendo cosa stesse succedendo, ho iniziato a tenere appunti, tutti i giorni scrivevo i medicamenti che gli davano, le domande, le risposte, quello che vedevo, tutto». 

Cure troppo costose - Paola assolve solo una delle cinque strutture che accolgono suo marito. «Nel primo ospedale della Svizzera tedesca ho trovato medici competenti che hanno curato veramente Gustavo e che ci ascoltavano. Mio marito avrebbe dovuto, anche a detta degli infermieri, rimanere oltralpe fin quando le sue condizioni non si fossero stabilizzate. Ma ci hanno rimandato in Ticino. Ho saputo molto tempo dopo che costava troppo tenerlo là. Purtroppo in Ticino le cose sono precipitate. Hanno ricominciato con i sedativi». 

L’ombra della casa per anziani - Paola, in “Fallimento terapeutico”, denuncia la crudezza con cui i medici parlano davanti al marito. «In due minuti gli mandavano il morale a terra. Io poi ci mettevo una settimana per ritirarglielo un po’ su. Dopo più di tre mesi improvvisamente mi dicono che non possono più curare mio marito e che secondo loro non esiste alcun posto dove lo possono fare. Dalle cure intensive lo vogliono trasferire in una casa per anziani. Il motivo? La cassa malati, per diverse ragioni, avrebbe continuato a pagare all’ospedale solo la tariffa giornaliera di queste strutture. Decido allora di portare a casa il mio Gustavo». 

Cinque mesi a casa - E così la coraggiosa donna di Comano si prende cura in prima persona del marito. «Per cinque mesi l’ho tenuto a casa, occupandomene da sola 24 ore su 24. Ho imparato a fare l’infermiera, a gestire un respiratore, la pompa per l’alimentazione, la tracheocannula… Ci sono stati momenti drammatici, ma li abbiamo sempre superati. Il nostro amore era forte, ci facevamo coraggio a vicenda. Non gli davo più quei medicamenti che gli facevano male, e vedevo i suoi progressi». 

La nuova svolta - Paola, tuttavia, capisce che a quel punto ci vorrebbe una riabilitazione vera per Gustavo. In modo da consentirgli di fare il salto di qualità. «I medici e i terapisti che lo curavano a casa dicono che mio marito ha bisogno di andare in un centro specializzato nella Svizzera tedesca. Il trasferimento, però, si deve fare da ospedale a ospedale. E così dobbiamo forzatamente tornare provvisoriamente in una struttura ticinese». 

L’ultimo ricovero - Ma è proprio in occasione di questo ennesimo ricovero che riprende l’incubo delle benzodiazepine. «Hanno ricominciato a dargliele. E anche qui non mi hanno ascoltata». Gustavo viene poi trasferito nella struttura svizzero tedesca. Sarà il suo ultimo ricovero e durerà esattamente 9 mesi e 1 giorno. «Lì l’hanno ulteriormente riempito di porcherie. Purtroppo quei medicamenti gli rallentavano anche i riflessi, i terapisti si innervosivano e la riabilitazione era nulla». 

Crudezza - Due polmoniti da aspirazione e due cadute dal letto dovute a negligenza. L’ultima tappa del viaggio di Gustavo è piena di complicazioni. «Non so quante volte gli ho salvato la vita in quel posto. Migliaia di discussioni sempre per lo stesso motivo. Gustavo è sempre stato molto chiaro, fin dall’inizio. Non voleva sapere niente di come stesse andando. Aveva delegato a me il compito di parlarne coi medici. Eppure un giorno un dottore mi dice: “Voglio andare da suo marito a chiedergli se vuole curarsi o morire lentamente”. Gli hanno dato tutto quello che lui non poteva sopportare. Tutto insieme. E Gustavo è morto». 

Il capolinea - In “Fallimento terapeutico” Paola parla apertamente di omertà. «Io e Gustavo eravamo assieme da una vita intera e il nostro amore era immenso. In questi anni ho capito molte cose. Ho capito che i medici non possono smentirsi l’un l’altro, anche davanti all’evidenza dei fatti. E allora ho deciso di scrivere tutto basandomi rigorosamente sui miei appunti. La mia denuncia è nel libro. Mi auguro che chi ha preso determinate decisioni rifletta, e non lo faccia mai più, con nessun altro paziente».

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