Non è mai capitato che così tante ragazze e ragazzi lasciassero a metà il loro apprendistato, anche in Ticino. Ma perché succede?
ZURIGO - Un percorso d'apprendistato che non entusiasma, magari perché è anche una seconda scelta, e andare ogni giorno al lavoro diventa un supplizio senza via d'uscita. Poi ci si mette anche la scuola con voti sempre più bassi, lo stress e l'ansia. A un certo punto o interviene il datore o, semplicemente, non ci si presenta proprio più. Il percorso si blocca all'improvviso, e davanti a sé ecco l'incertezza.
Uno ogni cinque molla
Quello scritto qui sopra non è un caso-limite, ma una realtà diffusa in Svizzera, come confermato dai dati relativi ai tirocini pubblicati di recente dall'Ufficio Federale di Statistica.
Da questi emerge una fetta non trascurabile di più di 10'000 giovani (prendendo in esame la classe che ha iniziato nel 2017) che hanno chiuso il percorso a metà strada. Si tratta di circa il 22,4% del totale, un tasso mediano mai così alto. Il 4,4% di questi, numero anche questo in crescita e da primato, non lo riprenderà più.
Per quanto riguarda il Ticino, il numero di rescissioni di contratto è al di sopra del dato nazionale (35,8%) e ha riguardato 448 giovani.
Le categorie ad alto “tasso di diserzione” (sopra il 40%) sono quelle un po' meno qualificate o particolarmente faticose, come quelle nel settore edile, meccanico e siderurgico, ma anche alimentare. Capita meno spesso con i venditori al dettaglio, nel design e nell'ingegneria.
C'è chi parla di “multicrisi dei giovani“
Ma come mai succede? Se l'è chiesto anche il TagesAnzeiger che ha interpellato un esperto, il vicedirettore di Pro Juventute Svizzera che è anche il responsabile dei programmi educativi. Stando alla sua esperienza diretta dal 2020 i colloqui d'orientamento con i giovani sono esplosi: «I ragazzi e le ragazze di oggi sono molto preoccupati, io parlerei di "multicrisi": c'è la crisi climatica, poi anche quella pandemica e adesso anche la guerra. Non ci sono ancora le cifre, ma anche questa potrebbe cambiare gli scenari lavorativi del futuro».
A questo si aggiunge anche il rapporto diverso che la Generazione Z ha con il lavoro: «Non vogliono più essere solo dei numeri, e non vogliono nemmeno essere manodopera a basso costo». Altro aspetto da non trascurare, ragazze e ragazzi spesso e volentieri fanno particolarmente fatica a integrarsi sul posto così come nel relazionarsi con gli altri, sentendosi spesso incompresi e generalmente non a loro agio.
«Il 42% di rinunce è un numero che fa male», ammette sempre al quotidiano zurighese il responsabile dell'associazione ombrello dei carrozzieri Carrosserie Suisse Reto Hehli, che parla di aspettative sbagliate: «Spesso si stupiscono di dover stare in piedi tutto il giorno e di dover sollevare parti in metallo pesanti».
Il lavoro non è più lo stesso, e nemmeno le persone
Una situazione, questa, senz'altro allarmante ma che però non stupisce in un mondo lavorativo che, dopo il Covid, è sempre più in rapido mutamento. Fra le problematiche la più sentita è la carenza di manodopera qualificata che riguarda tanto le persone formate, quanto quelle in formazione.
In questo senso ora la pressione cade sulle aziende, che si trovano a dover concedere qualcosa e a mettersi in gioco, dissaldando modi di funzionare in vigore da decenni.
Altro punto fondamentale riguarda la salute mentale di ragazze e ragazzi (e non solo) che va tutelata e rinsaldata. Qui l'onere, se così si può chiamare, cade sulle istituzioni a partire dalla scuola fino allo stesso Cantone.