Scrittura automatica, intelligenza artificiale e impatto sul settore giornalistico: parola all'esperto Benedetto Motisi
La figura del giornalista verrà sostituita dalle macchine? Domanda solo apparentemente suggestiva, questa, e particolarmente in voga quando il dibattito cade su un tema sempre più stuzzicante: automated journalism, cioè quel segmento del campo mediatico caratterizzato dal ricorso strutturale all’intelligenza artificiale nel processo di creazione dei testi destinati a diventare articoli giornalistici. Al netto di quelle che saranno, in effetti, le prospettive future di questo comparto, di certo l’industria del giornalismo sta attraversando profonde trasformazioni che derivano, quasi sempre, dall’impatto con le nuove tecnologie.
Di questo impatto, dunque, e, in particolare degli orizzonti, delle caratteristiche, delle potenzialità e delle criticità dell’automated journalism abbiamo discusso con l’esperto Benedetto Motisi.
Piattaforme e software concepiti per la scrittura di testi. Quanto e in quale direzione si stanno evolvendo queste tecnologie?
«Siamo nella fase dell’hype (attenzione ai massimi livelli) e per molte di queste piattaforme, che sono vere e proprie start-up nate da progetti di ricerca, non ci sarà un futuro; altre invece – in base a quanta utenza sapranno attirare e, di conseguenza, a quali volumi di investimenti - determineranno una bella fetta del lavoro quotidiano di molti professionisti. Non sappiamo ancora in che forma, ma qualcuna di esse è qui per restare, per stravolgere ancora una volta, in questi ultimi 15 anni, i lavori di “produzione culturale”».
Gli strumenti in questione stanno trovando un terreno fertile nell’ambito editoriale. Testate come il Washington Post o agenzie come l’Associated Press hanno pienamente integrato, nel proprio ciclo produttivo, queste tecnologie: ma quali sono i vantaggi e i punti critici del cosiddetto automated journalism?
«Il trend dell’AI writing non è nato negli ultimi mesi, ma sottotraccia è da qualche anno che ci sono già i primi esempi di automated journalism. Certo, finora ci si era limitati a fornire articoli e report riassuntivi di dati e tabelle, o per esempio dei risultati di un evento sportivo, quindi a basso effort umano. In questi casi, non credo che si rubi il lavoro a nessuno, per quanto mi ricordi che una delle primissime offerte di lavoro che ricevetti, nei tempi “preistorici” della Rete, era quello di aggiornare in tempo reale l’andamento delle partite di calcio per la paga di due goleador…intese come le caramelle. Quindi, in questo caso, ci vedo solo dei vantaggi per agevolare il ciclo produttivo. Nell’ultimissimo periodo, c’è invece chi ha iniziato a intonare il de profundis del giornalismo perché, questo è il mantra, le macchine sostituiranno i professionisti».
È una suggestione?
«A parte il fatto che finora sui contenuti breaking news che non siano dati, la scrittura automatica produce ancora inesattezze. Ma poi, aggiungo: se davvero un “professionista” si sente minacciato da un tool che, ad esempio, riporta Giorgia Meloni come Ministro della Gioventù (poiché il software pesca questa info come rilevante), ecco, io credo che avrebbe già dovuto cambiare lavoro tempo fa. Magari proprio quando l’attuale Presidente del Consiglio era ancora al ministero».
Restando all’interno del perimetro giornalistico, quali sono, in tal senso, le innovazioni (piattaforme, tool, software o semplicemente casi studio) che meritano di essere menzionati?
«Sto testando un po’ tutto, da WordHero a ChatGPT - che è lo strumento più citato - e personalmente li sto trovando molto buoni per ottenere, in breve, delle bozze di contenuti “pilastro”, diminuendo in modo drastico i tempi di stesura ma non intaccando il tempo dedicato alla verifica della veridicità delle informazioni e alla sintassi. Anzi, questi due passaggi sono ora più importanti che mai, ma non perché l’AI è infida, ma perché lo siamo noi, serpenti che hanno avvelenato il pozzo per anni. La macchina, in fondo, si limita a riprendere e ad apprendere ciò che è stato seminato in tutto questo tempo. Se un cane è violento, la colpa è del padrone che lo ha maltrattato. Quanto ai casi studio, molto interessanti lo studio sul bot di El Confidencial per i report sportivi e il paper dell’University of Florida circa il trust del giornalista umano rispetto il robot. Finora non ho trovato nulla in lingua italiana che valga la pena menzionare, ma sono aperto a suggerimenti».
Quanto e in che termini questa nuova prospettiva tecnologica sta impattando sul tuo lavoro quotidiano?
«Lavorando essenzialmente su progetti in-house, tantissimo. Ribadisco, ho aumentato esponenzialmente la mole produttiva, avendo quindi più tempo a disposizione per la cura e la cesellatura del contenuto. Sì, perché vanno fatte, benché resti viva questa idea che si possa schiacciare un tasto per avere la torta pronta. Beh, se davvero si desidera tool del genere, consiglio il prossimo Natale di scrivere nella letterina – ovviamente senza AI – di desiderare il computer Clementoni, quello con i bottoni grossi, colorati e che fanno rumore».
Dove si arresta il confine del giornalismo robotizzato?
«Ad oggi, si ferma alle lande dello stile, del gusto della metafora e delle connessioni deboli, se non inesistenti, che solo un retroterra culturale può far fiorire. Possono non piacere, più che altro perché rimangono vittime del loro stesso personaggio, ma le “WriterStar” difficilmente subiranno i colpi dell’AI. Chi è riconoscibile, chi si costruisce una sua audience legandola al proprio nome, ha più forza per sopravvivere e prosperare. Certo, si aprono altri temi come l’idea che “il giornalista non dovrebbe mai essere la notizia”, e siamo d’accoro. Ma, ad esempio, dopo decenni ci ricordiamo Gianni Brera nel giornalismo sportivo, grazie alla sua capacità di narrare. Sempre rimanendo all’oggi, una AI non è in grado di produrre ciò che non esiste, che è poi il guizzo del professionista vero. Tranquilli: nel momento in cui accadrà, o saremo già schiavi delle macchine oppure nelle “domoticissime” case a non far nulla come l’umanità assopita di Capitan Harlock».
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Benedetto Motisi è Giornalista ed esperto SEO da più di 14 anni, ha iniziato a lavorare da subito nella redazione di Radio Radicale, per poi spostarsi totalmente sul digital marketing viaggiando fra l'Italia e l'Est Europa. Ha collaborato direttamente con SEMrush, la più riconosciuta piattaforma di Search Marketing al mondo e fatto lezione in università ed enti formativi circa il posizionamento sui motori di ricerca. In un paio di anni, in Svizzera, ha aiutato a lanciare Linkfloyd, una delle agency di rilievo del mercato ticinese e approfondito le competenze sui mercati più ad alto impatto dell'online (gambling, adult, dating). Dopo circa un decennio diviso fra consulenza e formazione, si è (e si sta) progressivamente spostato su progetti in-house. Autore di "Interceptor Marketing (Flaccovio) e "Prontuario di Comunicazione Digitale" (Maggioli).