Obiettivo: impedire pratiche commerciali scorrette e campagne di marketing allusive per promuovere cause «che di benefico hanno poco»
ROMA - «C'è una questione di trasparenza sulla beneficenza su cui forse bisogna lavorare», aveva detto Giorgia Meloni in conferenza stampa, e sull'onda del cosiddetto Pandoro-gate, si lavora a quella, che, scrive il Messaggero «qualcuno, nei corridoi tra Montecitorio e Palazzo Chigi, ha già battezzato come la "legge Ferragni"».
L'obiettivo che si sono dati in Fratelli d'Italia «è rimettere ordine nel "far west" della beneficenza. E soprattutto impedire a monte pratiche commerciali scorrette e campagne di marketing allusive per promuovere cause che di benefico, a conti fatti, rischiano di avere ben poco». La premier, a quanto risulta, già nei giorni scorsi ha mobilitato gli uffici del governo chiedendo «un'informativa» sul tema. E sia al ministero del Lavoro che a quello dell'Economia, che hanno un ruolo diretto in tutto ciò che riguarda il Terzo settore, si sono messi all'opera. Evidenziando «una serie di criticità nella normativa attuale». Si vuole quindi mettere a punto «una legge che in sostanza imponga a chi dichiara di fare beneficenza (in primo luogo ad aziende e società, che in virtù della causa benefica sposata potrebbero veder aumentare le proprie vendite) di rendere note quelle cifre. E di farlo scendendo nel dettaglio».
Tra le idee al vaglio «c'è quella di far sì che venga specificato se la somma da devolvere è già stata arbitrariamente fissata (e magari già elargita) oppure se essa dipenda in qualche misura dall'andamento delle vendite. E, in quest'ultimo caso, quale percentuale dei guadagni verrà destinata alla causa in questione». Faro anche sulle sponsorizzazioni: «l'intenzione, in sostanza, è quella di rendere noto al consumatore se l'eventuale partnership con un testimonial che presta la propria immagine per lanciare il prodotto in questione (come potrebbe essere, appunto, un influencer) sia o meno retribuita. Indicazioni, queste, che in caso di un prodotto venduto "a scaffale" potrebbero anche finire nell'etichetta, forse con un asterisco lì dove si specifica che una parte del ricavato verrà devoluta in beneficenza».