Lo Stato Islamico ha rivendicato l'attentato di Kerman. Ma l'Iran ha anche altri nemici nella regione. Quali? Facciamo il punto
KERMAN - Per ventiquattro ore la domanda principale è stata: chi? All'eco delle due esplosioni - che, ieri, hanno provocato la sanguinosa strage di Kerman, in Iran, durante le commemorazioni per l'anniversario della morte del generale Qassem Soleimani - non aveva fatto seguito una classica rivendicazione; quest'ultima è infine arrivata solamente in questi minuti su Telegram. A riportarla è stato Al Arabiya, confermando le ipotesi formulate nelle scorse ore sia da Teheran che da Washington: la mano dietro all'attentato - che ha provocato 84 morti e 284 feriti - sono quelle dello Stato Islamico (Isis).
«Nell'ambito di una battaglia, con la grazia di Dio Onnipotente, i due fratelli martiri, Omar Al-Muwahid e Saifullah Al-Mujahid, si sono avviati verso un grande raduno di sciiti politeisti vicino alla tomba del loro leader morto, Qassem Suleimani, dove hanno fatto esplodere le loro cinture esplosive in mezzo alla folla, provocando l'uccisione e il ferimento di oltre 300 sciiti», si legge nel testo di rivendicazione dell'Isis.
I nemici di Teheran
Non si tratta della prima volta che il "califfato" e i suoi "tentacoli" mettono Teheran nel mirino. Ma le difficoltà emerse nelle prime ore nel tracciare il contorno della matrice delle due bombe è dovuto al fatto che l'Iran, inteso come il suo governo, ha diversi nemici nella regione. Tanto fuori quanto dentro i suoi confini.
C'è Israele, ovviamente, con cui le schermaglie sono perlopiù indirette, in quanto "filtrate" attraverso Hezbollah e gli scontri a ridosso della frontiera che separa lo Stato ebraico dal Libano. All'interno dei suoi confini, Teheran ha nemici nella provincia del Sistan-Baluchestan e in quella di Ahvaz, vicino all'Iraq: in entrambi i casi si parla di fazioni separatiste a cui, come riporta la CNN, sono stati attribuiti diversi attentati terroristici nel Paese in questi ultimi anni. Ci sono poi i membri del Mujahedin-e-Khalq - noto anche come l'Esercito di Liberazione Nazionale dell'Iran -; l'organizzazione è illegale nel Paese (e secondo Teheran sarebbe sostenuta dall'Arabia Saudita) ma non ha commesso alcun atto di terrorismo nella Repubblica Islamica in tempi recenti.
Nelle ore successive agli attacchi, l'Iran aveva puntato il dito contro Israele - e, di riflesso, contro gli Stati Uniti - ma come è stato sottolineato da alcuni analisti, l'attentato presenta una "firma" che rimanda ad altre mani.
Nella giusta direzione era andato anche Ali Vaez, consulente dell'International Crisis Group, spiegando che se ci fosse stato davvero Israele dietro l'attacco saremmo stati di fronte a una campagna di provocazione per «indurre l'Iran a commettere un errore che possa giustificare l'allargamento della guerra» con Hamas «trascinando dentro anche gli Stati Uniti», ha scritto in un post su X. E aveva altresì aggiunto che la "firma" era in effetti quella di un attacco targato Isis e non di un'operazione israeliana.