«Il terrorismo offende i valori dell'umanità», ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
ROMA - A cinquant'anni dal drammatico attentato, l'Italia ricorda le 32 vittime di quel 17 dicembre 1973 quando un commando di cinque palestinesi fece prima irruzione all'aeroporto di Fiumicino e poi lanciò una bomba al fosforo e due granate dirompenti all'interno di un aereo della Pan Am diretto a Teheran, via Beirut, fermo in una piazzola di parcheggio.
«Il terrorismo offende i valori dell'umanità a partire dal diritto alla vita, lede l'incolumità individuale e collettiva, viola i diritti umani, minaccia pace e sicurezza universale», sono state le parole pronunciate oggi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
E, proprio nel giorno del cinquantesimo anniversario dalla strage, i parenti delle sei vittime italiane si sono incontrate per la prima volta durante la cerimonia di inaugurazione di una targa commemorativa installata proprio nel luogo del massacro.
Il giorno in cui avvenne la strage, il 17 dicembre 1973, era un lunedì. Erano circa le 13 quando un commando di cinque palestinesi, arrivato a Fiumicino con un volo dalla Spagna, irruppe nello scalo con armi ed esplosivi fra i passeggeri in attesa di imbarcarsi.
Vennero sparate raffiche di mitra tra la folla, presi in ostaggio sei agenti e lanciati esplosivi all'interno di un Boeing 707 diretto a Teheran. Le immagini dell'aereo avvolto dal fumo fecero il giro del mondo, così come quelle degli ostaggi con le mani alzate al cielo.
Morirono 32 persone, tra cui anche il giovane finanziere appena ventenne Antonio Zara, che tentò di opporsi alla fuga dei terroristi. Uno di loro lo uccise con una raffica di mitra che lo raggiunse alla schiena. L'azione criminale, che provocò anche il ferimento di altre 17 persone, terminò nella tarda serata del giorno dopo all'aeroporto di Kuwait City, dove furono liberati gli ostaggi e arrestati i terroristi.
Oggi, all'aeroporto di Fiumicino, c'erano anche i parenti delle sei vittime italiane, alcuni con indosso un fratino bianco con i loro nomi e le loro foto. «Qualcosa si sta muovendo - ha detto Anna Narciso, figlia di Raffaele, una delle persone uccise cinquant'anni fa -. Il presidente della Repubblica ci rassicura che, forse, il silenzio di cinquant'anni stia per finire. Non vogliamo trovare un colpevole, non sono stati trovati cinquant'anni fa non li troveranno mai, ma riteniamo che le vittime non vanno mai dimenticate. La memoria collettiva di queste cose è importante».
A far incontrare tutti i parenti è stata l'iniziativa nata dal podcast alla giornalista Michela Chimenti dal titolo "Una mattina a Fiumicino". «Si sono ascoltati e hanno sentito l'impellente necessità di trovarsi, di parlarsi, di condividere questo momento di dolore e questa gioia - ha detto -, perché oggi abbiamo anche sorriso».
A ricordare il cinquantesimo anniversario della strage sono stati anche numerosi esponenti di governo. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha rinnovato l'appello alle istituzioni per «contrastare con determinazione il terrorismo in tutte le sue forme, rafforzando la cooperazione internazionale».
Un pensiero, in particolare, è andato al finanziere Zaia, omaggiato anche dalla Guardia di Finanza con una cerimonia solenne a Fiumicino. L'attentato - ha ricordato infine il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi - «fu un atto gravissimo, il tentativo di imporre, con le armi e la forza, le ragioni dell'odio. Un colpo inferto ai valori della tolleranza e della pacifica convivenza tra popoli, che colpì duramente in quegli anni anche tanti altri Paesi occidentali».