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«Un mostro che si è risvegliato e ha distrutto tutto»

Il dramma del terremoto che ha colpito Turchia e Siria visto dagli occhi dei più piccoli. Come Unicef aiuta i bambini a ricominciare.
Il dramma del terremoto che ha colpito Turchia e Siria visto dagli occhi dei più piccoli. Come Unicef aiuta i bambini a ricominciare.

La Turchia cerca di risollevare la testa. A più di quattro mesi dal devastante terremoto che lo scorso 6 febbraio ha spazzato via oltre 55mila vite, sono ancora più di nove milioni le persone che hanno bisogno di supporto umanitario. Tra di esse si contano anche oltre due milioni e mezzo di bambini.

L'agenzia delle Nazioni Unite Unicef è intervenuta immediatamente dopo il terremoto, ma l’impatto sulle famiglie è stato catastrofico. «Ho lavorato in tanti Paesi e in altri contesti drammatici, ma devo dire che non ho mai visto un tale livello di distruzione», ci ha raccontato Paolo Marchi, vice-responsabile Unicef in Turchia. Malgrado l’attenzione mediatica internazionale si sta spegnendo, l’emergenza umanitaria non è ancora rientrata. Con Marchi ripercorriamo i primi giorni della catastrofe facendo il punto sul trauma psicologico subito dai bambini e su come Unicef agisce a sostegno dei più piccoli.  

Özgür Ölçer

I primi soccorsi - «La prima preoccupazione è stata assicurare a tutti l’accesso all’acqua e ai servizi igienici». Il sisma ha colpito la Turchia in pieno inverno, in alcune aree le temperature scendono al di sotto dei 10 gradi. «Molte persone dormivano in macchina e all’aperto, abbiamo quindi distribuito coperte, vestiti invernali e tende. Un lavoro svolto in stretta collaborazione con il governo centrale e con altre Ong già presenti sul territorio».

Queste sono state le attività durante le prime due settimane. «In quanto Unicef abbiamo inoltre un accesso privilegiato all'acquisto di vaccini». Catastrofi naturali di questa portata sono infatti spesso seguiti da un aumento dei rischi di malattie virali. «Abbiamo procurato i vaccini e le medicine essenziali per prevenire un ulteriore problema».  

Un dramma che non ha risparmiato nessuno - La distribuzione degli aiuti umanitari è stata condizionata dal grado di distruzione di ogni area. Sulla zona vastissima che ha colpito il terremoto alcune città sono state completamente distrutte, altre parzialmente colpite e altre ancora sono state invece risparmiate. Un dramma che ha spazzato via migliaia di abitazioni costringendo molte persone a rifugiarsi in campi organizzati con tende e container. «La coabitazione forzata di tanta gente insieme che non è abituata, genera spesso situazioni di violenza. Ci siamo subito mobilitati per sostenere i più deboli offrendo consulenze su come prevenire e su come fare rapporto in caso di maltrattamenti». 

Una buona parte dei campi profughi sono stati costruiti nelle stesse città distrutte. «Non tutte le persone colpite hanno accettato di spostarsi nei campi. Lo trovo comprensibile. Molti hanno invece organizzato delle tende nel giardino di casa». Un attaccamento alla proprietà che si è tradotto in un tormento costante. «Da tre mesi non smettono mai di pensare al terremoto. Vivono con questo pensiero fisso». Per questo motivo Unicef si è impegnata ad organizzare spazi in cui i bambini possono isolarsi per qualche ora. «I bambini hanno una capacità di resilienza incredibile, però gli effetti a lungo termine si possono sentire».

Özgür ÖlçerUn gruppo di bambini nel centro di accoglienza Unicef della città turca di Kahramanmaraş.

Shock e traumi nelle coscienze dei bambini - Oltre alle necessità primarie, come coperte, alimenti e alloggi, il terremoto ha infatti causato anche traumi e shock nella coscienza dei bimbi. «I più piccoli hanno bisogno di un sostegno psicosociale. Sono stati organizzati dei centri in cui i bambini possono giocare e passare una giornata in modo un po' più normale». Unicef ha inoltre messo a disposizione psicologi che insegnano ai bambini come parlare del dramma.

«Ci sono bambini di diverse età, lavoriamo anche con adolescenti». Un lavoro organizzato con sessioni di gruppo e individuali in cui si cerca di formulare a parole il dolore del dramma. «Non c’è una narrazione lineare. Si domanda ai bambini come vivono il trauma. Mi ricordo una bambina che mi parlava del terremoto come “il mostro” che si è risvegliato da sotto terra e che ha distrutto tutto. Creare una storia è un modo per metabolizzare, che porta i bambini a un tipo di narrativa infantile e li aiuta a visualizzare qualcosa che è invisibile». Il supporto psicologico non significa eliminare il problema, ma imparare a convivere con esso, ci ricorda Marchi. Per i bambini è importante apprendere a parlarne e a riconoscere i sintomi dello stress. 

Özgür Ölçer

Dopo quattro mesi le vittime rischiano di venire dimenticate - Ma quanto è concreto il rischio che, dopo un’improvvisa generosità di tutto il mondo, le vittime vengano, con il passare del tempo, dimenticate? «Il rischio esiste ed è una realtà. Nel primo mese sono rimasto sorpreso dalla generosità e dalla solidarietà dei turchi e della comunità internazionale». L’attenzione mediatica inizia però a diminuire, mentre la crisi umanitaria non è ancora finita. «Un rischio che purtroppo riscontriamo in tutte le situazioni umanitarie, la Turchia non è esclusa».

Le storie che sono giunte dalla Turchia e dalla Siria hanno commosso per la loro drammaticità. Persone rimaste sotto le macerie per giorni, famiglie spezzate e ragazzi che da un giorno all’altro hanno perso tutto. «Sono tante immagini che mi ritornano spesso. Mi ha colpito un padre con tre figli giovani e la moglie mentre guardavano la casa distrutta e cercavano di raccogliere qualcosa di valore. Non ho mai visto tanta disperazione negli occhi di una persona, un senso di rassegnazione e di perdita. Oppure un altro padre, che ha perso il figlio e la moglie sotto gli edifici distrutti, mi diceva che erano scappati dalla morte in Siria per trovarla in Turchia. Un secondo trauma difficile da superare». 

Özgür ÖlçerUna bambina tra i detriti della città turca di a Kahramanmaraş.

La speranza dei più piccoli - Malgrado la situazione di emergenza e le difficoltà di immaginare un futuro, è stata subito lanciata la ricostruzione. Un processo in cui la visione dei bambini dovrà venire presa in considerazione, secondo Marchi. «È importante che la ricostruzione sia programmata con gli occhi di un bambino. Come Unicef chiediamo ai più piccoli quali sono le sue volontà, le loro priorità. Pensieri poi devono essere tradotti in un linguaggio adulto». Dare un ruolo e uno spazio ai giovani nella ricostruzione. «Mi capita spesso di parlare con giovani che chiedono un ruolo più attivo in questo processo. La ricostruzione dovrà essere fatta in modo sostenibile e attenta ai cambiamenti climatici. È importante non solo dargli una voce, ma farli sentire partecipi».

L’adozione è un tema di cui si è discusso tanto poco dopo la catastrofe. Come si gestiscono queste situazioni così delicate? «La Turchia ha un sistema molto organizzato. Di solito i bambini hanno sempre famiglie allargate. L’ideale è affidarli a qualcuno con cui il bambino ha già una relazione». Quando non è possibile si cerca una famiglia all’interno dello stesso Paese, quindi con la stessa cultura. L’adozione internazionale, ci conferma Marchi, non è mai la prima scelta. «La decisione viene presa secondo un’analisi degli interessi del bambino». Il cambiamento di ogni routine è infatti un trauma, e i bambini vivono di routine. «La loro routine è già stata distrutta per sempre, stiamo cercando di costruirne una nuova».


Appendice 1

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Özgür ÖlçerUna bambina tra i detriti della città turca di a Kahramanmaraş.

Özgür ÖlçerUn gruppo di bambini nel centro di accoglienza Unicef della città turca di Kahramanmaraş.

Özgür ÖlçerUn gruppo di bambini nel centro di accoglienza Unicef della città turca di Kahramanmaraş.

Özgür Ölçer

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