La Befana? "Tradizione fascista importata dagli operai italiani"

L'anziana vecchina a cavallo della scopa, che porta i doni ai più piccoli, sembra voler scalzare la tradizionale ricorrenza dei Re Magi
LUGANO - “La Befana vien di notte…” e arriva anche in Ticino. L’anziana vecchina a cavallo della scopa che porta i doni ai più piccoli sembra voler scalzare la tradizionale ricorrenza dei Re Magi.
“Befana Party”, oppure “La befana incontra i bambini”, sono solo alcuni degli avvenimenti che segnano un cambiamento culturale della tradizione ticinese confermato anche da Franco Lurà, direttore del Centro di dialettologia e di etnografia: "C’è una sorta di parallelismo con il Natale e con l'intrusione della figura di Babbo Natale, andata a scalzare lentamente il precedente simbolo per quel giorno, Gesù Bambino. L'avvento di Babbo Natale era stato determinato dall'adesione, dopo la Seconda Guerra Mondiale, a modelli di stampo americano come il chewing-gum, la Coca Cola, e, appunto, la figura di Babbo Natale”.
Quali sono le ragioni che spingono ad abbracciare simboli e ricorrenze che non appartengono alla propria cultura?
“È il desiderio di aderire a modelli vincenti che si basano non più sull'aspetto rituale, ma piuttosto sulla loro commercializzazione. Come accade anche con l'Epifania. Le figure preposte per questa ricorrenza, nella nostra regione, erano i Re Magi. Avevano il loro simbolismo, la loro tradizione. I bambini ad esempio usavano preparare dei cestini con il fieno e con il sale per i cammelli dei Re Magi. La Befana è subentrata sull'onda di un forte marketing pubblicitario dettato da esigenze commerciali. Il modello a cui ci si ispira in questo caso è quello italiano, propagandato particolarmente nel periodo fascista. Rispetto a Babbo Natale, questa Befana gode del vantaggio di trovare nella tradizione ticinese già esistenti simboli femminili analoghi. Erano figure che comparivano in questo periodo dell’anno tornando dal regno dei morti e a volte dispensavano doni o annunciavano eventi come l'inizio del Carnevale”.
Il fatto che vengano rimpiazzati simboli religiosi ha a che vedere con la secolarizzazione e quindi con la perdita di significato di riferimenti sacri a vantaggio di simboli studiati ad hoc dal marketing?
"Il motore principale di questo cambiamento è una superficializzazione della ricorrenza. L'Epifania va pian piano perdendo il suo valore originario e per questo non si cercano più quei simboli che lo rappresentano. Si accettano quindi delle situazioni di comodo, senza farsi nemmeno tante domande. Il modello della Befana, che è giunto inizialmente anche attraverso i lavoratori italiani, come Babbo Natale che ha sostituito la figura di San Nicolao, ha più semplicemente sfruttato la preesistenza di miti femminili nella mentalità popolare arcaica”.
Importare modelli dall’estero non può nascondere una sorta di complesso di inferiorità?
"Piuttosto è un'opzione di comodo. La gente non ha più voglia di approfondire. Fondamentalmente è un dato di pigrizia intellettuale e forse anche spirituale. Quella della Befana è una figura funzionale, facilmente vendibile, che porta regali. Si inserisce perfettamente in questa concezione materialistica della ricorrenza e viene assunta acriticamente”.
Una globalizzazione dei simboli che rischia di risolversi con un impoverimento culturale?
“Indubbiamente. Si è cercata una sprovincializzazione della propria realtà in modo molto acritico. Si è quindi abbracciata questa dimensione che va al di là del locale senza rendersi conto che così facendo si perde il contatto con la propria storia. Il mantenimento delle proprie usanze e tradizioni non implica necessariamente un atteggiamento reazionario o di chiusura verso l’Altro, semplicemente credo sia un modo più consapevole di vivere la propria realtà”.
Qual è insomma il rischio a lungo termine?
“I rischi sono molto più gravi di quanto superficialmente si potrebbe supporre. Si va verso una completa deriva della capacità di interpretare determinati avvenimenti. A vantaggio di manifestazioni il cui principale interesse è fare soldi”.



