Istruzione a casa? Di più, questi ragazzi scelgono se e cosa imparare. Un pratica che in Ticino non trova spazio
HERISAU - Nahlin, 10 anni, passa gran parte delle sue giornate suonando la batteria. Olivia di anni ne ha 11, da sei anni impara francese e inglese, recentemente si è lanciata anche sul cinese. Sara, quindicenne, ha passato grande parte dell’infanzia su roller e pattini da ghiaccio, ultimamente però ha iniziato a scrivere un romanzo. Sono i figli di Doris e Bruno Gantenbein, una coppia di precursori svizzeri dell’unschooling, una filosofia a cui la Srf ha recentemente riservato un documentario della trasmissione Reporter. Si tratta dell’estremizzazione dell’homeschooling, dell’istruzione a casa. Non solo i bambini non vengono mandati a scuola, ma si permette loro anche di scegliere cosa imparare e quando farlo.
500 casi - In Svizzera i bambini che studiano a casa sono circa 500, non si sa invece quante siano le famiglie che sposano questa pratica. «Si tratta di un movimento relativamente nuovo», ci spiega Marcel Hanhart, membro del consiglio direttivo di Insegnamento a casa Svizzera, il quale stima che gli unschooler siano circa un quarto del totale.
Un espe all'anno - I Gantenbein vivono ad Appenzello Esterno, con Argovia e Berna uno dei cantoni più liberali. Per loro è necessario solo svolgere un test annuale di valutazione.Una delle figlie dei Gantenbein, per esempio, ha inizialmente avuto dei problemi: rimediava solo dei 3, poi però ha recuperato la sufficienza garantendosi così l’autorizzazione per continuare il suo percorso “scolastico”. In altri cantoni i regolamenti sono più rigidi: alcuni chiedono che uno dei genitori sia abilitato all’insegnamento. I più severi della Svizzera, invece, sono Grigioni, San Gallo e Ticino, dove questa pratica è preclusa.
In Ticino tutti in classe - «L'articolo 6 della Legge sulla scuola stabilisce che "la frequenza [...] è obbligatoria per tutte le persone residenti nel Cantone, dai quattro ai quindici anni d'età"», ci spiega Emanuele Berger direttore della Divisione della scuola. «L'articolo di legge traduce la volontà politica di scolarizzare l'insieme della popolazione residente».
Pochissime eccezioni - Capita, comunque, che qualcuno chieda di non mandare i figli a scuola. «Le richieste sono molto rare. Tranne nei casi motivati da ragioni particolari di ordine psichico o fisico, le richieste sono respinte in base all'obbligo di frequenza stabilito dalla legge», continua Berger. Ma già sono bastati pochi casi per evidenziare le debolezze dell'istruzione casalinga. «Si pone tutta una serie di problematiche rispetto ai valori promossi dalla scuola ticinese. Per esempio a proposito della lingua di insegnamento che di principio - fatte salve alcune eccezioni previste dalla Legge sulla scuola - deve essere l'italiano».
La scuola non è solo scuola - Ma i limiti non sono solo quelli di inquadrare l'unschooling nella legge. «La scuola, oltre a essere un luogo di apprendimento, è un luogo di relazioni, di socialità, di interazione e di confronto. Difficile immaginare che privando un allievo di questi elementi, non si abbiano delle conseguenze sul suo sviluppo, e sul suo successivo inserimento nella scuola post-obbligatoria e nella formazione professionale. Altrettanto difficile risulta l’accertamento degli standard educativi e delle competenze di chi si occupa degli allievi educati secondo i principi dell’unschooling», conclude Berger.