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L'OSPITEProibizionismo e droghe: la Storia si ripete... parte seconda

17.11.15 - 06:38
Sinue Bernasconi, membro GLRT e CIRCA
Proibizionismo e droghe: la Storia si ripete... parte seconda
Sinue Bernasconi, membro GLRT e CIRCA

Anche il mondo medico fu colpito dal Volstead Act. Era infatti consuetudine, all’epoca, prescrivere alcoolici (come birra e whiskey) per scopi terapeutici. I medici di tutto il Paese fecero pressioni, invano, affinché il divieto sull’alcool risparmiasse il suo uso medico (Appel, 2008). Si stima che, raggirando la legge, tra il ’21 e il ’30 la cifra d’affari legata alla prescrizione medica di whiskey raggiunse i 40 milioni di dollari (Jurkievicz & Painter, 2008).

Da parte dello Stato, centinaia di milioni furono investiti, sia per creare un agenzia ad hoc che conducesse la lotta contro l’alcool (la Prohibition Unit, poi divenuta nel ’27 il Bureau of Prohibition) che per potenziare gli apparati giudiziario e carcerario. Le pene erano severe: per i trasgressori non recidivi era comminabile una pena massima di 5 anni di reclusione e una multa di 10’000 $.

La gente però non si rassegnò a rinunciare all’alcool: nei primi tre anni di Proibizionismo il numero dei saloon della sola New York City passò da 15 a 32mila e, sebbene quasi 10mila distillerie furono sequestrate, il loro numero aumentò di anno in anno, sino a raggiungere l’esorbitante cifra di oltre 282mila nel 1930. I locali dove si spacciava alcool erano circa mezzo milione (Jurkievicz & Painter, 2008).

Infatti, contro le aspettative dei promotori del Proibizionismo, un interessante studio del National Bureau of Economic Research condotto da Miron & Zwiebel (1991) ci dice che inizialmente vi fu effettivamente un calo sensibile del consumo di  alcool (di circa il 30%), ma che poi, negli anni a venire (soprattutto dal ’21 al ’27), si assistette ad un clamoroso aumento del 60-70% rispetto ai consumi relativi al pre Proibizionismo!

Altre stime parlano invece di un aumento del consumo di alcool procapite meno marcato (+11,64%; Tillitt, 1932). Ciliegina sulla torta, le statistiche relative ai ricoveri per “psicosi alcoolica” ci dicono che il consumo di alcool tra le donne e i giovani aumentò in modo significativo durante il Proibizionismo (Jurkievicz & Painter, 2008).

E tutto questo per cosa? Per mettere la salute dei cittadini in pericolo, obbligandoli a rifornirsi presso il mercato nero, acquistando alcoolici di scarsa qualità e potenzialmente dannosi? Per offrire linfa vitale al crimine organizzato così da permettergli di lucrare grazie al prezzo gonfiato (si stima che nel 1930 l’alcool venisse venduto al triplo rispetto al pre-Proibizionismo; Warburton, 1932) e instillare il morbo della corruzione all’interno delle istituzioni (Lerner, 2007)? Per investire milioni nella repressione e, di riflesso, nei sistemi giudiziario e penale?

Il 13 marzo del ’33, il Presidente Roosevelt – forte della batosta elettorale inflitta al rivale Hoover – chiese al Congresso di legalizzare la vendita di birra, al fine di aumentare le entrate delle malmesse casse statali. Di lì a qualche settimana si poté nuovamente consumare regolarmente birra in quasi tutto il Paese. Per fortuna, l’increscioso capitolo del Proibizionismo giunse ufficialmente al capolinea il 5 dicembre del ’33, quando il XXI emendamento (passato al Congresso col 73% dei suffragi) fu ratificato da 3/4 degli Stati. Era la fine del bando dell’alcool (almeno a livello federale). Si dovette attendere ancora una trentina d’anni affinché anche l’ultimo Stato americano in cui ancora vigevano leggi proibizioniste, il Mississippi, si convinse che era giunta l’ora di porre fine al noble experiment, che di nobile, l’avrete capito, aveva ben poco se non gl’intenti.

Curioso come la Storia riesca sempre a crearsi un pertugio per riproporsi all’Umanità, forse mossa dalla speranza che noi s’impari qualcosa. Povera illusa. L’ho sempre pensato, un prerequisito per essere un politico dovrebbe essere una laurea in Storia (o quantomeno uno spiccato interesse per la stessa): per imparare, sia dagli errori che dalle grandi intuizioni dei nostri predecessori.

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