Continua la rilettura dei classici americani della performer, che esplora ancora una volta i terreni dell'ignoto
LOS ANGELES - Fin dai primi accordi di “All The Way”, il brano che dà il titolo all’album, Diamanda Galás porta l’ascoltatore in terreni inesplorati, bui e spaventosi.
Nel suo ultimo lavoro, frammentato in due album - l’altro è il live “At Saint Thomas The Apostle Harlem”, la cantante esplora con il suo sguardo oscuro classici del jazz, del blues e dell’American Songbook. Un nuovo passo lungo un cammino artistico già da tempo intrapreso dalla performer 61enne di origine greca, vera e propria pioniera della ricerca vocale e dall'impressionante presenza scenica.
Un percorso che non si è interrotto con “All The Way”: oltre alla title track basti pensare a “I Don’t Know What Love Is”, resa in una versione ricchissima di acuti disperati, anche più straziante della tormentata versione di Billie Holiday.
“The Thrill is Gone” è completamente trasfigurata, mentre in “O’ Death” la voce trascina con un turbine impetuoso verso il regno della morte, degli orrori e dei fantasmi che tormentano l’umanità. Diamanda è una sacerdotessa dell'ignoto, con una carica che sembra arrivare direttamente dalla Grecia mitologica.
“Pardon Me I’ve Got Someone To Kill” stempera (ma non eccessivamente) la tensione di un disco coeso e molto omogeneo. Galás mette in mostra la consueta, superba tecnica vocale. Versioni per voce soprano e pianoforte, anche in dimensione live, per un nuovo viaggio nell’universo oscuro ma estremamente affascinante di questa artista, che non pubblicava un album da quasi un decennio.