Ricerca: l'uomo di Neanderthal aveva un linguaggio complesso
Lo studio, frutto di una collaborazione internazionale fra italiani, australiani e canadesi, è stato pubblicato sulla rivista americana Plos One e illustra i risultati di un confronto fra le proprietà biomeccaniche di questo osso e quelle di analoghi reperti di Homo sapiens. Fra gli autori, il paleontologo Ruggero D'Anastasio, dell'Università di Chieti, e il fisico Claudio Tuniz, del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste.
Dalla ricerca è emerso che dal punto di vista della morfologia esterna, lo ioide dell'Homo Neanderthalensis e quello dell'uomo moderno non presentano sostanziali differenze, mentre hanno una forma diversa da quella di altri primati come lo scimpanzé. Ma questa osservazione non è sufficiente a poter dire che l'uomo vissuto tra 200'000 e 40'000 anni fa potesse parlare. È stato decisivo analizzare la sua microstruttura interna, che si rimodella in risposta alle tensioni meccaniche a cui l'osso è sottoposto.
Il reperto del Kebara, e altri campioni prelevati dall'Homo sapiens, sono stati analizzati con una risoluzione non raggiungibile con la Tac convenzionale ed i risultati hanno confermato che la microstruttura interna dello ioide dell'Uomo di Kebara è simile a quella degli uomini moderni.
"Anche se prevediamo di analizzare altri reperti per aumentare ancora la significatività dei dati - commenta D'Anastasio - ritengo che questo lavoro costituisca un passo decisivo a sostegno dell'ipotesi che vuole l'uomo di Neanderthal dotato di linguaggio". Per Tuniz "forse i Neanderthal potevano anche ballare e cantare al suono della musica, come suggeriscono i nostri studi recenti sul flauto ricavato dal femore di un orso, trovato in Slovenia in un sito che era frequentato dall'uomo di Neanderthal 60 millenni fa".
Il nuovo approccio metodologico multidisciplinare potrà essere applicato anche ad altri reperti umani fossili e archeologici.




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