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LOCARNOCosì svizzeri, così gitani

11.08.17 - 17:49
Nel cuore della musica folkloristica svizzera profonde e insospettate radici jenisch. Un’identità a lungo negata
Così svizzeri, così gitani
Nel cuore della musica folkloristica svizzera profonde e insospettate radici jenisch. Un’identità a lungo negata

LOCARNO - Partendo dalla storia di Stephan Eicher – musicista bernese noto e apprezzato in mezzo mondo – e di suo fratello Erich, avvocato e pure musicista, il film “Unerhört jenisch” (Yenisch sound, il titolo inglese) va alle origini della musica folkloristica svizzera. Presentato al Locarno Festival nella sezione Panorama suisse, il lavoro di Karolin Arn e Martina Rieder è stato applauditissimo.

Non solo per la cura e la sensibilità con cui hanno percorso le radici jenisch dei fratelli Eicher, ma perché hanno saputo denunciare la persecuzione di cui sono state vittime le famiglie jenisch. Il programma “Bambini della strada” attraverso il quale la Pro Juventute a partire dal 1926 ha sottratto alle loro famiglie i piccoli jenisch, viene chiaramente evocato nel film.

Oltre a costituire un bruttissimo episodio nella sofferta storia dei gitani in Svizzera, la persecuzione - suffragata dalle teorie dello psichiatra Jospeh Jörger che aveva diagnosticato negli jenisch “un’inferiorità genetica” – richiama alla memoria l’integrazione forzata, che di fatto negava il diritto alla diversità culturale.

Nel film il musicista Christian Mehr, uno dei “bambini di strada” del famigerato programma della Pro Juventute, ricorda come è stato accolto dalla madre della famiglia affidataria: immerso nell’acqua con candeggina a 70 gradi per placare «la sua aggressività e diversità». Inutile dire che Christian porta su tutto il corpo le stigmate di quella inaudita brutalità.

Stephan Eicher, dal canto suo, spiega che anche nella sua famiglia, l’eredità jenisch è stata a lungo occultata. Ma lui e suo fratello hanno sempre intuito, e forse intimamente saputo, di essere legati a quella cultura gitana. «Mi ricordo – dice nel film Stephan Eicher - che la cantina del nonno era piena di violini e che in famiglia la musica fosse del tutto naturale, innata. Mio padre aveva pure un sacco di strumenti e una straordinaria collezione di musica dell’Est. E tutte le domeniche le trascorrevamo a suonare».

Così Stephan ed Erich Eicher partono alla ricerca delle loro origini gitane. Il secondo studiando meticolosamente alberi genealogici presso la bibloteca nazionale a Berna. Il primo andando nelle montagne grigionesi, a Obervaz, dove incontra i discendenti dei Moser, dei Waser e dei Kolleger. Tutte famiglie jenisch che nel XX secolo si sono sedentarizzate e in cui la musica occupa un ruolo centrale, ieri come oggi. Stephan incontra dei veri virtuosi, il violinista Fränzli Waser, il clarinettista Paul Kolleger e Patrick Waser, prodigio dell’organetto svittese.

La musica è la vera ossatura del lungometraggio, poiché attraverso di essa si risale alla fonte. «Gli jenisch – spiega Karolin Arn – non conoscevano le note e suonavano a orecchio. Le loro composizioni e canzoni sono state registrate da altri, che si sono poi presi tutti i meriti. Nella Svizzera tedesca gli jenisch sono stati perseguitati, per cui non si vuole riconoscere che la musica tradizionale ha origini jenisch».

L’amore per la musica va oltre tutto, oltre il dolore, oltre la malinconia. Perché la musica che vibra dentro di noi rende liberi. Il documentario è letteralmente sorretto dalla voce di Stephan Eicher e dalla sua famosa canzone in dialetto bernese “Weiss nid was es isch”, specchio di quella ricerca delle proprie origini, che spinge molte persone a intraprendere il viaggio della scoperta e della conoscenza.

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