Matteo Pronzini ha chiesto al Gran Consiglio di costituire una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul caso, segnalato nel frattempo anche al Procuratore generale Andrea Pagani
BELLINZONA - Matteo Pronzini ha ufficialmente chiesto al Gran Consiglio di costituire una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul caso delle residenze fittizie in Ticino dei manager del gruppo Kering, finito sotto la lente per la presunta evasione di 1,4 miliardi di euro di imposte attraverso la Luxury Goods.
La richiesta, contenuta in una lettera inviata ieri al plenum, è stata presentata oggi nel corso di una conferenza stampa indetta dal Movimento per il socialismo (MPS) e segue di 24 ore la segnalazione inoltrata dallo stesso deputato all’attenzione del Procuratore Generale Andrea Pagani.
Un anno dopo «nulla si muove» - Nelle due missive, Pronzini ripercorre il caso tra le inchieste giornalistiche e la serie di atti parlamentari da lui stesso presentati. Siamo in «presenza di indizi concordanti che riguardano un possibile reato penale» scrive il deputato, sottolineando come però «sembra che in Ticino nulla si muova», nonostante sia trascorso un anno dalle prime rivelazioni.
«La residenza e l’attività professionale in Ticino dei manager del gruppo erano una condizione essenziale del sistema di ottimizzazione fiscale messo in atto dal gruppo», ricorda Pronzini, che - considerate le «incongruenze» emerse - solleva qualche dubbio sull’operato delle autorità cantonali e sulla possibilità che invece di svolgere gli accertamenti necessari qualcuno abbia «volontariamente chiuso un occhio», o «magari anche due».
Due pesi, due misure - Nel suo lungo esposto, il deputato riporta alla luce anche il parallelo tra Kering e Argo 1, rimarcando la «disparità di trattamento» tra l’ex dipendente della società di sicurezza e i top manager del gruppo della moda. E non solo: «Si pensi anche agli operai che per anni hanno lavorato sul cantiere Alptransit e che nel 2015 si sono visti negare la disoccupazione dalla Sezione del lavoro del DFE con la giustificazione che il loro “centro degli interessi” non era in Ticino poiché avevano la famiglia in Italia. A molti lavoratori esteri con questa stessa scusa è stato revocato il permesso di dimora dall’Ufficio della migrazione», conclude Pronzini, ricordando di aver tentato «più volte» di ottenere risposte in merito dal Consiglio di Stato, «ma senza successo».