Dal salario minimo alle borse di studio. Due rinvii che bruciano in casa socialista. Il presidente del Ps Igor Righini: «A rischio non è il nostro seggio, ma la popolazione che scivola nel precariato»
BELLINZONA - La battaglia per il salario minimo si combatte fuori dal Parlamento. Non perché i lavoratori siano saliti sulle barricate, ma perché in Gestione è saltata ogni possibilità d’intesa. E così lo scontro di fine legislatura diventa verbale, ma di fatto inconcludente. Da un lato il Plr cementa il minimo a 19 franchi l’ora (0.25 centesimi in più della proposta governativa), dall’altro il Ps per cui sotto i 20 nemmeno si discute (ma la linea rossa punta a 21.50 pari a 3’740 franchi mensili).
Per il Plr alcuni partiti (e voi siete il bersaglio grosso) si sono messi a inventare nuove proposte. Cosa replica Igor Righini a chi accusa i socialisti di tirare troppo la corda?
«Il Plr ha fatto quattro anni di melina per affossare alla fine tutto - replica il presidente del Ps -. Più di un anno e mezzo fa, quindi in tempi non sospetti, io, Manuele Bertoli e Ivo Durisch abbiamo parlato di 3’750 franchi negoziabili. Ma sotto i 20 franchi non si va, perché questa è la soglia dichiarata valida dal Tribunale federale nel caso analogo di Neuchatel. Ci hanno fatto aspettare due anni quella sentenza! Quando è arrivata si sono inventati altre storie. Non prendiamoci in giro, con un salario a 19 franchi si fa ancora ricorso all’assistenza pubblica».
La proposta minima del Consiglio di Stato parte tuttavia dai 18.75…
«È indegna questa proposta. D’altra parte è un Governo di destra. L’unico che si è dissociato e non ha sottoscritto quel documento è stato il nostro consigliere di Stato Bertoli. E infatti in conferenza stampa c’è andato Zali».
L’epilogo corretto quale sarebbe stato secondo lei? Il Plr sostiene che andare in parlamento con pareri divergenti sarebbe stato «un esercizio puramente elettorale».
«Ma quale campagna elettorale! Bisogna risolvere un problema e invece da quattro anni prendono in giro la povera gente. Parliamo di fissare un minimo a 3’750 franchi… quando il salario mediano ticinese è di 5’000 franchi e sta mille franchi sotto la media nazionale. Non si gioca al ribasso sulla pelle dei più deboli. In Ticino abbiamo il doppio di poveri che del resto della Svizzera e un tasso di rischio povertà che spaventa».
Di rinvio in rinvio, negli scorsi giorni la commissione scolastica ha rimandato al Gran Consiglio che verrà l’aumento delle borse di studio. Per entrambe le decisioni Bertoli ha parlato di “immobilismo vergognoso”. Qual è invece la sua lettura politica?
«Ci sono persone, in questo caso i giovani in formazione, che hanno bisogno di soldi per riequilibrare le loro finanze. Non li vogliamo aiutare, perché c’è l’idea oggi che le persone che hanno meno mezzi siano degli approfittatori. In realtà sono delle vittime di un sistema sociale ed economico che non riesce più a fare fronte al costo della vita e vanno aiutati. Noi siamo sempre pronti, gli altri temporeggiano. Abbiamo sgravato i ricchi di 50 milioni e qui ci rifiutiamo di dare qualche franco in più a degli studenti. È scandaloso».
Il fatto che il tema rinviato rientrasse nell’orbita del Decs è casuale?
«I liberali hanno deciso di diventare adesso i campioni mondiali della scuola e stanno facendo campagna per carpirci il seggio. Vogliono quel posto e a tutto il resto non badano. Non dicano che loro non fanno speculazioni elettorali. Le stanno facendo eccome e purtroppo sulla pelle della gente».
L’impressione è che in questo epilogo di legislatura il Ps sia accerchiato. Questo clima mette ancora più a rischio il vostro seggio oppure alla fine potrebbe pure giovarvi?
«Almeno si capisce che stiamo da una parte. Non è vero che siamo tutti uguali. Noi stiamo dalla parte delle persone in difficoltà. Da buoni svizzeri, perché ce lo insegna la nostra Costituzione federale che la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli».
Sì, ma il seggio socialista è a rischio?
«Ma non è questo il problema. Qui a rischio è tutta una popolazione che sta scivolando nel precariato. E sono sempre in meno a difendere i diritti di queste persone. Qui non si tratta di buoni e cattivi, ma di affrontare un problema enorme come il fatto che una persona su tre in Ticino fatica ad arrivare a fine mese. Vogliamo risolvere questo problema?».