Secondo l'imprenditore un no all'iniziativa «ci farebbe diventare simili all'Unione Europea»
BERNA - «Con un "no" all'iniziativa per l'autodeterminazione dell'UDC il prossimo 25 di novembre, rischiamo di perdere uno strumento di libertà, ossia la democrazia diretta, ciò che ci farebbe diventare simili all'Ue». Parola di Alberto Siccardi (Area Liberale vicina all'UDC), imprenditore ticinese di origini italiane, che oggi a Berna, assieme a un comitato di industriali e finanzieri, ha perorato la causa dell'indipendenza elvetica dai "giudici stranieri", alla base della fortuna economica della Svizzera.
Nel suo intervento, Siccardi ha posto l'accento sull'eccesso di burocrazia che il lento avvicinamento all'Ue comporta, quella burocrazia che gli ha fatto lasciare l'Italia per stabilirsi in Svizzera e fondare la Medacta di Castel San Pietro, società che oggi occupa 950 collaboratori ed è attiva nel mondo intero.
La democrazia diretta rappresenta secondo Siccardi un argine ad un'evoluzione simile a quella italiana. La sottomissione della Svizzera alle regole europee, considerate superiori alla legislazione interna, non farebbero altro che incentivare la burocrazia, «vero e proprio sostegno politico di chi le ha create».
È stato grazie alla democrazia diretta, ha spiegato Siccardi, se è stato possibile respingere in Ticino il progetto di impronta socialista di riforma della scuola, progetto che se accolto avrebbe comportato spese per decine di milioni di franchi l'anno.
Per il finanziere ed ex banchiere privato Konrad Hummler (membro del PLR) votando "si`" all'iniziativa democentrista in novembre, la Svizzera manterrebbe la propria libertà di azione. Il fatto di porre il diritto elvetico al di sopra di quello internazionale non avrebbe conseguenze economiche negative per il Paese, secondo l'ex banchiere. Il Tribunale costituzionale della Germania ha più volte ribadito il principio della preminenza del diritto interno, senza che questo Paese ne abbia sofferto economicamente.
Per Benjamin Giezendanner, imprenditore nel ramo dei trasporti e membro del Gran Consiglio di Argovia per l'UDC, "è giusto che siano i cittadini svizzeri a decidere del proprio destino e non i burocrati di Bruxelles". L'avvicinamento all'Ue e alle sue regole potrebbero a suo dire avere ricadute fatali per la Svizzera. Basti pensare, ha spiegato, all'idea di Bruxelles di obbligare i Paesi in cui lavorano i frontalieri a versare anche le indennità di disoccupazione. Dall'oggi al domani, "dovremmo sborsare centinaia di milioni di franchi all'anno in più". Un allentamento del divieto di cabotaggio in Svizzera significherebbe mandare in rovina i piccoli trasportatori svizzeri e un aumento della disoccupazione.
Per la consigliera nazionale Magdalena Martullo Blocher, vicepresidente dell'UDC, la democrazia diretta è stata uno degli elementi alla base del successo economico della Confederazione, paese numero uno per innovazione e col maggiore Pil pro capite dopo il Lussemburgo. «Non si capisce proprio - secondo la CEO di Ems-Chemie - tutta questa sfiducia nel popolo da parte dei contrari all'iniziativa».
Il sistema politico elvetico, che ci ha garantito decenni di stabilità, è costruito in modo tale da non dare eccessivo potere allo Stato e al Parlamento. Insomma, lo Stato viene contenuto, come anche la sua tendenza ad emettere sempre più regole. Tutto ciò si rispecchia nella nostra economia. Questa è in fondo l'unica vera differenza rispetto ai Paesi vicini, ha sottolineato Martullo-Blocher.
Ogni giorni, ha aggiunto, la burocrazia produce 140-150 pagine di nuove regole, perlopiù adeguamenti a regole internazionali sottoscritte dalla Svizzera. Tutto ciò rappresenta a suo avviso un fardello sempre più pesante per le piccole e medie imprese, spina dorsale dell'economia elvetica. Tutte queste regole hanno un costo che si ripercuote negativamente sugli investimenti delle imprese, sull'innovazione e, in ultima analisi, sui posti di lavoro, ha aggiunto.
Per Magdalena Martullo-Blocher non è vero, come dichiarato dagli avversari dell'iniziativa, che un "sì" alle urne ci obbligherebbe a rinegoziare 600 accordi commerciali.